
Conte come Scalfaro nel 1993. Lo sfogo è nel suo stile e ci sta, ma perchè ora?
Uno sfogo ‘da’ Antonio Conte. Di Antonio Conte. Con le modalità sue, quelle di cui si parlava anche ieri. Che bucano lo schermo, le casse, che si fanno sentire forti dai microfoni. Conte da capro espiatorio non ci passa. Non vuole passarci e lo fa notare facendo rumore.
di Claudio Russo (@claudioruss)
Prima dicendo che in otto mesi ha capito che oltre un certo tetto non si può andare oltre, perchè la questione Kvaratskhelia ceduto e non sostituito a gennaio è di una gravità inaudita, per di più per una squadra al primo posto. Con proprietà silente, sempre per il discorso di giugno del Conte manager eccetera eccetera. Poi la deflagrazione a modo suo, a-la-Antonio Conte. Perchè ciò che dice è giusto nei temi, non nelle tempistiche a cinque giornate dalla fine del campionato, non in alcuni modi perchè certe uscite vanno via per la tangente senza rimanere nella traiettoria giusta.
Ottenere risultati inaspettati per tutti con una squadra che, partita dopo partita, ha visto perdere pezzi singoli e molteplici, per una o più partite, dovendo adeguare ogni volta schemi e giocatori disponibili. Aprirsi con il cuore ad una città che lo ha accolto alla perfezione nel privato e che, di contrasto, nell’ambito calcistico non gli perdona nulla. Pronta a metterlo alla gogna se il gioco non convince e se il cambio arriva un minuto dopo il dovuto.
“Mi sono reso conto che al tifoso del Napoli non piace il sole e il mandolino, ma vincere. Se non vince, diventa cattivo”. Questa frase, in fin dei conti, è vera ormai da oltre dieci anni, almeno dai tempi di Mazzarri in poi. Un tritacarne che ingloba chiunque, che ha masticato e vomitato via ogni singolo allenatore in panchina, anche lo Spalletti dell’anno dello scudetto. Figuriamoci il Napoli visto a Monza, a dir poco bruttino.
Sembra riapparire il Conte rinchiuso all’interno di un personaggio costruito anno dopo anno: “Voi siete i primi ad additarmi che devo vincere lo scudetto o arrivare secondo. Per quale motivo? Perchè mi dovete dare questa responsabilità? Io non voglio deludere le persone e mettermi a capo di situazioni miracolose e non frutto di programmazione seria nel tempo”. Eppure poco prima aveva detto che “chi prende Conte deve lottare per vincere lo scudetto, non basta la Champions”.
Quello che somiglia al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro del 3 novembre 1993, quello che davanti ai microfoni della RAI, a reti unificate, afferma
“A questo gioco al massacro io non ci sto. Io sento il dovere di non starci, e di dare l'allarme”.
Cosa ha detto Conte?
“Io do tutto, la pressione me la devo mettere altrimenti è un gioco al massacro ed io di essere massacrato non ho voglia”
E allora un tocco col piede verso la porta che darebbe sull’ignoro, sull’addio: “Parlerò col presidente, siamo contenti perchè la Champions è tornata a Napoli, abbiamo venduto Kvaratskhelia ed abbiamo fatto cose straordinarie. L'aiuto che mi ha chiesto, io ho dato tutto”. Perchè in fondo c’era il bisogno di aiutarsi l’un l’altro, uno a riprendersi dopo il Tottenham e l’altro a ritrovare la Champions di slancio per evitare il rischio di affondare. E ci sono riusciti, abbondantemente.
Sulla questione sciacallaggio, avvoltoi, sticazzi, fottitene, il fondoschiena pronto per essere abusato: Conte questo è, lo si conosceva e non è certo un problema la parolina, in una piazza che applaudiva il turpiloquio e le parolacce. Lo sapeva anche De Laurentiis quando l’ha scelto, così come Conte - uomo di calcio che ne sa tantissime - sa benissimo che tipologia di presidente sia De Laurentiis. Non è cambiato con nessuno, non lo ha fatto allora e non lo ha fatto adesso. Lo sapeva anche quando ha accettato di guidare il Napoli. Poi le tappe si bruciano, e magari il pensiero delle parti va in direzioni diverse. Da qui lo sfogo, ed una domanda: perchè ad un mese dalla fine del campionato?
Come canta Niccolò Contessa, ovvero I Cani:
E ci consuma un fuoco lento
Come legno
Che diventa carbone
Perché due sconosciuti insistono?
Chissà perché due sconosciuti
Continuano a chiamarsi amore
Il brano ‘Carbone’ del suo ultimo album ‘Post Mortem’ parla di un rapporto che sta consumando entrambe le persone coinvolte, senza un contatto emotivo profondo. Il fuoco che brucia dentro di loro, paragonato al legno che diventa carbone o alla lava che aspetta di eruttare, come simbolo di una frustrazione che non esplode mai davvero. Come un amore che ormai è solo un'illusione. Ci sono similitudini?