Alemao torna a Napoli dopo 16 anni: "Vi racconto tutta la mia storia" | VIDEO
Alemao è tornato a Napoli e racconta la sua carriera in azzurro con Careca e Maradona
Una delle personalità che hanno fatto la storia della SSC Napoli è tornato in città: Ricardo Rogério de Brito, detto Alemao, è tornato a Napoli dopo 16 anni di assenza. Ne abbiamo approfittato per una lunga intervista negli studi televisivi di CalcioNapoli24, dove abbiamo ripercorso insieme a lui gli anni in maglia azzurra.
Intervista ad Alemao
Dagli esordi in Brasile al Botafogo, il passaggio mancato al Milan, l'approdo all'Atletico Madrid e poi l'arrivo nel Napoli di Diego Armando Maradona, che - come racconta Alemao nell'intervista - gli aveva scritto un messaggio una settimana prima di morire. E poi il ricordo dello scudetto, la Coppa UEFA, la Supercoppa italiana, il 5-1 contro la Juventus, l'episodio monetina con Carmando a Bergamo seguito dal complicato il trasferimento all'Atalanta. Alemao ci parla anche della sua fede religiosa, del lavoro con i tossicodipendenti in Brasile, del calcio attuale e del suo rapporto con Napoli e i tifosi napoletani.
“Mancavo a Napoli da 16 anni! Napoli è la mia seconda patria, quando vengo qui mi sento a casa, mi trovo molto bene. Ho trovato una città migliorata, molto più pulita, con tanto turismo: mi ha fatto molto piacere, Napoli se lo merita. Ho vissuto qui per quattro anni, ci ero già tornato ma l’ultima volta è stata 16 anni fa. Ho vissuto qui i miei migliori momenti da calciatore professionista, non dimenticherò mai i momenti vissuti qui dopo le vittorie. Un conto è vincere a Milano, un altro è farlo a Napoli: vincere qui è più saporito, non c’è paragone, non esiste niente del genere".
L’arrivo al Napoli dall’Atletico Madrid nel 1988. “Perché ho accettato Napoli? La risposta è semplice: qui c’era il numero 1 al mondo, Diego Armando Maradona, e poi c’era il mio amico Careca. Ero in Brasile e mi arrivò una telefonata, l’Atletico Madrid voleva che partissi il giorno dopo per chiudere l’operazione, ma non mi avevano detto che squadra era. Il giorno dopo ero a Madrid, le trattative andarono avanti tutta la notte. Ricordo che c’era Luciano Moggi, quando seppi che era il Napoli non ebbi più dubbi. Ed ho avuto ragione. Ci siamo divertiti parecchio con questa tifoseria”.
Gli esordi nel calcio. “Non pensavo che sarei diventato un professionista. Un giorno un mio amico che giocava al Botafogo mi invitò a fare un provino, così sono rimasto lì nel settore giovanile per due anni e poi dopo due anni ho firmato il mio primo contratto. Il soprannome Almeno ce l’avevo già da piccolo, prima che andassi al Botafogo. Non so com’è nato, qualcuno ha iniziato a chiamarmi così e mi è rimasto addosso. Mia madre mi chiamava Ricardo, ma oggi molti miei amici nemmeno lo sanno che mi chiamo Ricardo. All’epoca avevo già un pre-contratto con il Milan. Ricordo che giocammo un torneo ad Amsterdam, ma non giocammo molto bene, non avevamo una grande squadra. Così il Milan decise di non far valere il suo pre-contratto e nel 1987 sono andato all’Atletico Madrid. C’erano anche altre squadre: Roma e Sampdoria se non mi sbaglio”.
L’epatite a Napoli. “Appena arrivato a Napoli mi sentii male. Stavamo giocando una partita di Coppa dei Campioni nella Germania dell’Est e dopo la partita bevvi un bicchiere di vino. Mi sentii molto male e scoprì di aver contratto l’epatite. Ci vollero 6 mesi prima di tornare a giocare, ma la tifoseria napoletana mi trattò come un figlio. Dopo la guarigione in un mese ero già pronto, avevo grande voglia di entrare. Rientrai contro il Lecce, feci gol sul 4-1, la Curva impazzì. La mia famiglia era a Napoli, fu molto emozionante”.
Il primo ricordo con Maradona. “Quando ero in trattativa col Napoli, non ero l’unico centrocampista in lizza. Il Napoli voleva anche Oscar Ruggeri dall’Argentina e c’era anche un altro obiettivo. Alla fine il Napoli scelse me, ma Maradona non lo sapeva. Quando sono arrivato mi ha ricevuto benissimo, siamo diventati buoni amici. Ogni calciatore sognerebbe di giocare insieme a lui, è tutta un’altra cosa. Maradona meglio di Pelé? Pelé non l’ho visto giocare, Maradona l’ho visto ed è imparagonabile”.
Il razzismo contro i napoletani. “Non ho buoni ricordi. Noi e i tifosi abbiamo vissuto momenti difficili fuori casa, soprattutto al Nord, eravamo trattati in maniera bruttissima. Ci chiamavano “terroni”, ci lanciavano cose. Vedevo i nostri tifosi sugli spalti, ne soffrivamo molto. Questo però ci caricava ulteriormente, anche perché la tifoseria non mollava mai e noi eravamo lì a lottare per loro. Vincere a Napoli è tutta un’altra cosa, solo chi ci riesce può capire che significa. Non capisco l’odio verso i napoletani, il razzismo in generale, ho seguito anche il caso di Vinicius Jr., è tutto molto brutto...”.
“C’è un buco per Alemao!”, un ricordo del gol di Alemao in Stoccarda-Napoli 3-3 del 17 maggio 1989, finale di Coppa UEFA. “Quel gol è indimenticabile, è stato importantissimo per la mia carriera. Ricordo che giocammo molto bene, Maradona era tranquillo e quando lui era tranquillo lo eravamo tutti. Mi capitò quella palla, faccio uno-due con Careca e tocco la palla che prende un effetto strano. Quel gol non lo potrò mai dimenticare. Ho fatto gol anche in Bologna-Napoli 2-4, partita decisiva per lo scudetto: l’assist di Maradona fu qualcosa di geniale, lui mi tocca il pallone quando io ero ancora molto arretrato e quando il difensore mi vide arrivare fu troppo tardi. Solo un genio poteva fare una cosa del genere, corsi da lui ad abbracciarlo. Anche quel gol per me fu molto emozionante”.
La monetine di Atalanta-Napoli dell’8 aprile 1990. “C’è stata confusione. Carmando mi voleva medicare, mi diceva di restare a terra per potermi medicare, ma i tifosi hanno confuso quel gesto. Io stavo sanguinando, la monetine mi colpì davvero e mi fece un male incredibile, ma io volevo restare in campo e giocare. Il Milan perse a Verona e poi ebbero da ridire sulla monetine... qualche giorno fa Van Basten ha detto, dopo 30 anni, che io ho fatto qualcosa di sbagliato, mi dispiace per lui. Dire una cosa così non è da persona seria. Mi piaceva come calciatore”.
La Supercoppa italiana 1990, Napoli-Juventus 5-1. “È stata la migliore partita che ho fatto a Napoli. Quel giorno mi andava tutto bene, ancora oggi ogni tanto mi riguardo quella partita, quasi non feci nessun errore. I tifosi si divertirono molto e per me questa è la cosa più bella”. Un ricordo divertente degli anni a Napoli. “Eravamo a Soccavo ad allenarci, era giovedì, quel giorno avevano aperto i cancelli e c’erano 2-3000 tifosi sugli spalti ad assistere. C’era Maradona che aveva notato che il portiere Giuliano usciva spesso dall’area e si era deciso a fargli gol da lontano: poco dopo passo la palla a Maradona e lui al volo tira da centrocampo! La palla entrò nell’angolino con Giuliano che cadde a terra all’indietro cercando di tornare in porta. I tifosi invasero il campo di Soccavo, entrarono tutti in campo, tutti! Fummo costretti a rientrare nello spogliatoio, i tifosi presero Maradona sulle spalle e restarono in campo a festeggiare come se avessimo vinto il campionato”.
Maradona è stato il migliore di tutti. “Non c’è una spiegazione per un genio. I geni fanno quello che gli altri non riescono a fare mai. Lui dal niente faceva delle cose che ti lasciavano a bocca aperta. C’è un video in cui si allena sulle note di “Live is Life”, perfino in Brasile ha impressionato tutti, nessuno ci credeva e tutti mi chiedevano se era vero. Non ci sono parole per definire Maradona come calciatore e come uomo. Anche se molti dicono cose cattive su di lui, Maradona era un grande uomo, amava i suoi tifosi, amava i suoi amici, era un vero capitano. Quando entrava in campo spesso non era in condizioni di giocare e faceva delle infiltrazioni solo per giocare, perché sapeva che sarebbe bastata una singola giocata per essere decisivo. Era un fenomeno anche se non stava bene, anche col ginocchio gonfio, anche con le infiltrazioni. Faceva tutto questo per rendere felici i tifosi”.
I posti preferiti a Napoli. “All’epoca non si poteva uscire in strada. Realmente. Io uscivo solo per mangiare, andavo da Ciro a Mergellina, o in altri ristorante. Avevo un amico che mi portava in giro per ristoranti che conoscevamo, dove potevamo stare tranquilli. Per il resto era impossibile anche fare una spesa, anche solo se andavo in Piazza dei Martiri in 10 minuti si riempiva di tifosi”.
La morte di Giuliani per HIV. “Io non sapevo neanche cos’era successo. Mi dispiace molto, Giuliani era un gran portiere e un ragazzo eccezionale. I tifosi e i compagni di squadra non lo hanno mai abbandonato”.
Calciatori con i quali avresti voluto giocare. “Mi sarebbe piaciuto giocare con Platini, Ronaldinho, con Zico con cui però ho giocato un Mondiale nell’86. Ho giocato con tanti grandi, non solo Maradona. A quel tempo l’Italia era il campionato più competitivo, come oggi la Premier. In tutto il Brasile si aspettava la domenica mattina per seguire il campionato italiano. Da allora il modo di giocare è cambiato tanto, soprattutto in Brasile, dove però il calcio non è molto bello: seguo il Palmeiras e il Flamengo, ma anche il Bragantino. In Sudamerica il livello è ancora scarso e ne risente anche la Nazionale”.
Un giudizio su Natan, ex del Bragantino oggi al Napoli. “Natan non era molto conosciuto in Brasile, né aveva chissà quale seguito dalla tifoseria del Bragantino. Era certamente un buon calciatore, ma quando si prendono giocatori dal Brasile bisogna stare attenti. Molti giocatori arrivano come fenomeni e vanno via dopo poco, bisogna venire in Italia con una mentalità e una volontà adatta al livello. In Brasile si gioca un calcio più lento, meno tattico, magari si beve una birra dopo l’allenamento. In Italia non si può fare. Mi ricordo che dopo 5 giorni che ero a Napoli andai in discoteca dopo l’allenamento, il giorno dopo mi chiamò Ferlaino e mi disse: niente più discoteca! Non ci sono più andato. Serve un’altra mentalità e i brasiliani hanno un po’ questa mentalità”.
La fede religiosa. “La fede per me è tutto. Ho avuto la fortuna di conoscere il Signore qui a Napoli e qui a Napoli ho ancora un Pastore, un padre spirituale con cui ho un grande rapporto, mi ha aiutato molto. Gesù ha cambiato la mia vita e ringrazio Dio per questo. A Napoli è nato anche mio figlio. Senza la fede che ho oggi in Cristo, non so come starei adesso. Durante il Covid19 sono stato 23 giorni in ospedale, di cui 13 giorni molto male. Grazie a Dio sono uscito”. Gli Atleti di Cristo: “Con me c’erano Jorginho del Flamengo, Silas del Cesena, Baltazar, Amarildo della Lazio, eravamo in tanti. Pregavamo e trasmettevamo la parola ad altri calciatori, oggi in Brasile ci sono tanti calciatori credenti”.
I Mondiali 1990, uno scippo all’Argentina di Maradona? “Maradona era un personaggio scomodo. Aveva il coraggio di dire cose che altri non dicevano mai. Basta guardare i calci di rigore per capire che c’era qualcosa che non andava. Lui aveva ragione, pianse giustamente, ma il calcio è così. A volte nel calcio ci sono cose non facili da digerire, cose che non possiamo dire”.
Alemao all’Atalanta dal 1992 al 1994. “Fu un’esperienza difficilissima. L’accordo era che io arrivassi lì e facessi un accordo con i capi ultras dell’Atalanta. Mi ricordo che volevano ammazzarmi, io tranquillamente mi sono seduto e ho spiegato com’era andata la storia della monetine, che Carmando voleva stessi giù per medicarmi. Io non sapevo che avremmo vinto a tavolino, sono in pace con la coscienza. Fu comunque un’esperienza difficile per me, l’ambiente non era dei migliori”.
Il Napoli attuale. “Quest’anno l’ho seguito poco. L’anno scorso ho visto qualche partita, è stato divertente ed emozionante, è andato tutto perfettamente. Io ho sempre detto che il Napoli ha bisogno di una squadra un po’ più lunga per avere tutti i ricambi adeguati. Non si vince uno scudetto con 16 giocatori. L’anno sorso c’era una panchina lunga ed hanno vinto meritatamente. Speriamo che Conte possa darci nuove gioie. Calciatori brasiliani da consigliare? Eviterei di fare un nome, ci sono tanti giovani che si stanno ancora formando”.
L’ultimo ricordo di Maradona. “Una settimana prima che morisse mi aveva mandato un messaggio per dirmi che era felice di sapere che lavoro faccio. Da 29 anni infatti in Brasile lavoro in un centro sociale per tossicodipendenti. Lui l’aveva saputo da un amico e mi aveva scritto un messaggio, dicendomi che avrebbe avuto piacere a vedermi per parlarne. Una settimana dopo Diego era andato via... una cosa impressionate. Non riuscivo a capire, non sapevo cosa dire, mi chiamavano tantissimi giornalisti. Avrei voluto parlare con lui, stare insieme a lui. Parlargli anche del problema della droga, visto che ho tanta esperienza in merito col mio lavoro. Peccato che non ho avuto il tempo, mi dispiace tanto. È stato uno shock”.
Un ricordo di Careca. “Careca era un po’ matto, in senso buono! Ci siamo divertiti tanto. Lui si divertiva a giocare a Napoli, era bello da vedere. Se guardiamo le partite, la velocità di pensiero di Careca con Maradona e l’intesa che avevano era una cosa impressionante, che non ho visto da nessun’altra parte. Noi che da centrocampo li guardavamo da dietro non riuscivamo a crederci. Careca ricordo che fece un gol contro la Roma al San Paolo incredibile”.
L’avversario più forte? “Il Milan di Sacchi. Avevano Van Basten, Gullit, che per me era quello che faceva la differenza. Gullit era un mostro, cercavo di marcarlo ma era più forte di tutti, immarcabile. C’erano Ancelotti, Donadoni, tanti altri. Vincere lo scudetto col Napoli in quegli anni fa capire quanto eravamo forti, in mezzo a tante squadre fortissime”.
Un ricordo di Gennaro Montuori, detto Palummella, ex capo ultras del Napoli. “Gennaro era un grande, è sempre stato un grande capo, ci aiutava tanto. Dava tutto quello che aveva per la squadra ed è stato importante per noi. Aveva una grandissima amicizia con Maradona, lottava insieme a noi”.
Un saluto ai tifosi del Napoli. “È stato un onore per me giocare nella squadra del Napoli e far nascere mio figlio a Napoli. Con la tifoseria ho avuto sempre un rapporto emozionante e ne approfitto per ringraziarmi di tutto quello che mi avete dato, siete l’anima della squadra, l’anima del calcio Napoli”.