Ivano Trotta al Napoli
Ivano Trotta al Napoli

ESCLUSIVA - Trotta: "Svincolato dalla Juve a causa di Moggi, non mi salutarono nemmeno. Al Napoli avrei fatto anche la tribuna, spero mio figlio vesta la 7. Gol al Frosinone? Con la Var..."

20.04.2018
20:00
Antonio Anacleria

L’aria diventa tesa, la pressione aumenta. Juventus-Napoli non è una gara normale, non lo è mai stata e mai lo sarà.

L’aria diventa tesa, la pressione aumenta. Juventus-Napoli non è una gara normale, non lo è mai stata e mai lo sarà. Soprattutto se la differenza tra i bianconeri e gli azzurri è di appena 4 punti ed entrambe non hanno nulla da perdere. In vista della sfida, CalcioNapoli24 ha raggiunto in esclusiva un doppio ex di questa sfida: Ivano Trotta.

Dopo la trafila nelle giovanili, nel 1996 viene messo in prima squadra. Era una Juventus stellare, con Lippi in panchina.

“E’ stata un’esperienza bellissima, ho passato un anno con mister Lippi e tanti campioni come Del Piero. Fu un annata fantastica, per un ragazzo di diciannove anni, fare quell’esperienza, dopo tre anni nelle giovanili, era bellissimo, il compimento di un sogno”.

Torricelli, Ferrara, Montero, Conte, Del Piero, Deschamps, Vieri, Amoruso: era una squadra con tanto carattere e si vedeva in campo

“Era una squadra importante, che vinse lo scudetto, la Supercoppa e che raggiunse la finale di Champions League perdendola col Dortmund. Era una rosa importante, fu incredibile per un giovane come me stare con quei campioni”.

Insieme a lei, in prima squadra arrivò anche un certo Zinedine Zidane. Che tipo era?  

“Zidane era arrivato tra lo scetticismo generale, veniva criticato perché reduce da un Europeo sottotono, poi appena mise il piede in campo tutti si accorsero che era un campione, un calciatore fuori dalla norma. A livello umano era addirittura meglio, se mai fosse possibile, che a livello tecnico, era un ragazzo di una sensibilità incredibile e lo ha dimostrato con la carriera che ha fatto e con quello che sta facendo a Madrid da allenatore. Si parla sempre della testata a Materazzi, ma un episodio del genere non può infangare una carriera come la sua”.

Nella Juve incontra un amico che oggi è un parente: Dario Baccin, attuale vicedirettore sportivo dell’Inter. Com'è il suo rapporto con lui?

“E’ sempre stato molto buono con me, qualche anno fa mi sono separato da mia moglie, sorella di sua moglie, e ci siamo un po’ persi. Abbiamo trascorso begli anni insieme, le nostre strade si sono separate ma la vita continua”.

In quell’anno i bianconeri arrivarono in finale di Champions League, l’avevano vinta l’anno prima, ma perdono 3 a 1 contro il Dortmund. Da allora c’è una specie di maledizione…

“E’ una competizione importante e le squadre che si affrontano pure, non è facile giocarsela. Il fatto che i bianconeri riescano sempre ad essere vicini alla finale comunque attesta che lavorano bene durante tutto l’anno”.

Zidane, la Champions: impossibile non parlare di Real-Juventus, delle dichiarazioni di Buffon e della rabbia di Benatia sui social. Uscite motivate o cadute di stile?

“Non sono cadute di stile, sono dichiarazioni dovute al momento critico. Quando parli al caldo dici delle cose, a freddo dici la metà. Lo sfogo ci sta, le parole sono opinabili perché è stato un intervento al limite e Benatia un intervento del genere in quel momento non doveva farlo. L’arbitro poteva non dare il rigore e sarebbe stato criticato, lo ha dato ed è stato comunque criticato. Ha fatto bene a prendere la decisione che riteneva opportuno prendere. Era rigore? Per me sì”.

Nel 1997 passa al Fiorenzuola, dove la allena Albeto Cavasin. Le ha mai parlato di quando dovette marcare Maradona?

“A dirla tutta no, il mister era un tipo molto duro, dialogava poco. Era una persona davvero rigida, con la quale c’era un rapporto solo professionale”.

Qui gioca con un giovanissimo Luca Toni.

“Luca era un ragazzo d’oro, lo ricordo con tanto affetto. Fece bene, sono felice della carriera che ha fatto, se l’è meritata”.

Quindi passa alla Carrarese, dove segna il suo primo gol tra i professionisti: ce lo racconta?

“Fu un gol da centrocampo. Ero sulla fascia, subito dopo la linea di metà campo. Tirai dalla distanza e la palla si infilò nell’incrocio dei pali lontano. Un golasso (ride, ndr)”.

Fa bene alla Viterbese, segna tantissimo, ed infatti Paolo Beruatto la porta con sé al Padova.

“Dopo la Viterbese feci benissimo perché vincemmo il campionato, feci 7-8 gol fu un anno straordinario. Ero ancora proprietà della Juventus, ma la società, e nello specifico Moggi, che era mio procuratore, ed il papà, che faceva il ds, decisero che dovevo rimanere un altro anno in prestito alla Viterbese però ci fu uno screzio tra me e Moggi e andai al Padova di Beruatto. C’era un ottimo rapporto col mister, una brava persona. Poi la Juventus decise di svincolarmi”.

Screzio con Moggi?

“Sì, di natura tecnica. Loro ritenevano opportuno che io restassi in prestito a Viterbo, io invece pensavo di poter fare un’altra categoria, non la Serie C. Non trovammo l’accordo ma ero ancora sotto contratto con la Juventus, lui muoveva il mercato bianconero e allora decisi di andare in prestito al Padova”.

Quindi si sentì quasi liberato quando lo svincolarono…

“Liberato no perché era comunque la Juventus, mi sentii sorpreso. Avevo giocato in Serie A ed avevo fatto una presenza in Champions con la maglia bianconera, ed ora mi trovavo improvvisamente svincolato. E così, dopo otto anni di Juventus, mi trovo svincolato. Non mi dissero neanche arrivederci, nulla”.

Senza nessuna spiegazione?

“Non mi sono dato spiegazioni, non mi sono state date spiegazioni e non le voglio. Però oggi non mi devono chiedere perché io tifi Napoli e non Juventus. Non mi devono chiedere perché il Napoli è nel mio cuore e della Juventus non me ne frega nulla. Il motivo c’è”.

Poi c’è il Gualdo…

“Sì, in C2. Dopo essere stato svincolato dalla Juventus andai lì e trovai il presidente Barberini, che mi trattò benissimo e feci due anni alla grande. Poi, di comune accordo perché mi voleva bene, mi disse che potevo andare dove volevo e scelsi Rimini”.

Nel 2002 passa al Rimini, l’inizio della stagione è disastroso e ben tre giocatori, Micchi, Antonioli ed addirittura il capitano Ballanti vengono messi fuori rosa: che aria si respirava?

“Rimini fu l’inizio di un sogno perché la squadra era da anni che perdeva i play-off. Quell’anno incontrai il padron Bellavista, una persona eccezionale, purtroppo non c’è più, un vero uomo, persona d’altri tempi. Quell’anno stavano smantellando un po’ tutto, comprarono solo me ed un altro calciatore. Ci misero la Fiorentina nel girone ed andammo a Firenze e vincemmo 2 a 1 con un’impresa incredibile. Da allora cominciammo una cavalcata che ci portò in Serie B. Facemmo risultati incredibili: avevamo 600 persone allo stadio, dovemmo ampliare lo stadio per accogliere 11mila tifosi. Il Rimini poi ha avuto una flessione dopo la morte del presidente Bellavista e andai via”.

Fra i protagonisti di quell’annata anche Davide Di Nicola, il cobra. Più fortunato lei ad avere chi sfruttasse i suoi cross o lui ad avere chi crossasse così? Come reagì quando la società decise di venderlo l’anno dopo?

“Ho fatto tanti cross e gol, lo dico con modestia e numeri alla mano. In carriera ho giocato con lui, Floccari, Calaiò, Sosa: tutti giocatori importanti che sfruttavano bene i miei assist ed io ero bravo nel mettere la sfera dove andava messa”.

Nel 2006 la chiama Pier Paolo Marino, accetta il Napoli malgrado fosse in Serie C

“Quella fu una scelta ponderata. Ero in Serie B al Rimini ma vedevo la fine di un ciclo e sapevo che potevo fare un passo indietro per farne tanti avanti. Andai al Napoli sapendo che potevo fare bene, accettati di fare panchina, tribune anche in amichevoli. Però volevo andare al Napoli e volevo restarci, mi sono innamorato di quella maglia dalla prima volta che l’ho indossata. Un po’ alla volta, partita dopo partita, mi sono conquistato un posto da titolare, contro la Juventus. E’ stata la chiusura di un altro ciclo per me, non aver mai mollato mi ha aiutato”.

I trascorsi con la Juve di cui ci ha parlato hanno influito sul sì agli azzurri?

“No, no. Ho scelto Napoli perché è Napoli, perché è una piazza fuori dal normale. Mi avevano detto che una volta che giocavi al Napoli e poi andavi altrove, non ti sembrava più di giocare a calcio. Ed è vero. E’ stata la scelta più importante della mia carriera e della mia vita, almeno tre-quattro volte all’anno devo andare a Napoli perché altrimenti sto male. Mio figlio è nato a Napoli, tifa Napoli, è un discorso quasi biologico”.

Dichiarazioni d’amore per una squadra ed una piazza che oggigiorno, malgrado molto più prestigiose di quelle che lei abbracciò in Serie C, vengono rifiutate da diversi giocatori…

“Non saprei spiegarmi il perché, ognuno sceglie quello che vuole. Posso solo dire che è stata la scelta della vita per me”.

Gioca con capitan Iezzo ed il futuro capitano del Napoli: Paolo Cannavaro. Che tipi erano?

“Iezzo era una persona speciale, moltissimo. Con Paolo Cannavaro mi i sento ancora, sono contento di quello che sta facendo in Cina, è un ragazzo eccezionale, d’altri tempo. Paolo ha dei valori importanti, ama la famiglia. E’ stato un onore averlo conosciuto ed averci giocato”.

Qualche aneddoto su quel periodo?


“Impossibile sceglierne uno. Ricordo le risate con Carmando (ex massaggiatore del Napoli, ndr) in pullman, agli allenamenti con mister Reja, passando per i tifosi. Ho solo bei ricordi di quella esperienza”.

Il 19 dicembre 2006 vincete 3 a 1 contro il Brescia, a segnare il gol per gli ospiti è un giovane centrocampista straniero: Marek Hamsik. Lei era in tribuna quella sera, che impressione le fece?

“Ricordo più quel gol di Dalla Bona che il suo gol, ad essere sincero, io pensavo solo al Napoli. Certo, Hamsik è un campione, non devo dirlo io cosa ha fatto e che qualità possiede”.

Il 21 aprile 2007, il Napoli è sotto contro il Frosinone. Reja sostituisce Calaiò ed inserisce lei, che poco dopo fa un gol spettacolare in semirovesciata: è il più bello della sua carriera?

“Sì, presi il posto di Emanuele e fece il gol che cambiò la mia storia perché tutti mi ricordano per quell’episodio. A prescindere da me, poi, fu un gol importante perché il Genoa stava perdendo a Torino e noi lo superammo e chiudemmo secondi”.

Ad inizio gara, però, un gol di Calaiò, che lei avrebbe sostituito poco dopo, era stato annullato per fuorigioco inesistente: l'attaccante partì in linea col difensore (come dimostra il video in allegato). Se ci fosse stata la Var, forse lei quel gol in semirovesciata non l’avrebbe mai fatto…

“Esatto, meno male che l’hanno inventata dopo (ride, ndr). La Var ora? E’ giusta, prima si parlava sempre e solo di arbitri dopo le partite, ed ora i fischietti sbagliano di meno”.

Lei ed il Pampa Sosa andate a segno in quella partita, la settimana dopo andate di nuovo a segno entrambi contro il Cesena…

“Sì. La settimana dopo ero in panchina contro l’Albinoleffe. Sosa segnò ancora e Reja non mi fece entrare perché mi disse che non si poteva fare Sosa-Trotta di nuovo altrimenti diventava una cabala troppo lunga! Feci due gol in due partite e poi per sei gare non entrai in campo, ancora oggi non so il perché”.

Nei sedicesimi di Coppa Italia incontrate la Juve: poco dopo l’inizio Calaiò si lancia contro Buffon che però lo trattiene vistosamente in area, come confermerà la moviola. Nella ripresa Camoranesi viene espulso per una gomitata a Montervino. Una gara nervosa…

“Non ricordo queste cose, ricordo solo una grande partita, un gol spettacolare di Cannavaro che ci portò ai rigori e la vittoria dagli undici metri”.

Andate ai rigori. Dopo il suo, che è perfetto, il primo a batterlo per la Juventus è Buffon, che lo sbagliò: un gesto di sfida o semplice tattica?

“Non era un gesto di sfida. Gigi prima giocava in attacco, un rigore lo può calciare. Il caso ha voluto che lo sbagliasse, ma non credo fosse una cosa campata in aria o goliardica, dubito che la Juventus volesse uscire dalla Coppa proprio contro il Napoli, al San Paolo”.

L’anno dopo abbandona Napoli.

“Abbandonarla non è il termine giusto. Marino mi disse che l’anno dopo non ci sarebbe stato molto spazio per me e il Treviso premeva per avermi, così come fece per comprare Pià. Il Napoli mi disse che stava comprando giocatori da Serie A e non ci sarebbe stato spazio per me, ma io sarei rimasto. Avrei accettato fare la panchina o la tribuna in Serie A col Napoli, e fare il cammino che ha fatto Grava, ad esempio, perché Napoli ce l’ho nel cuore”.

Nel Treviso giocherà con un giovane Leonardo Bonucci che già allora segnava tanto: 4 gol in 40 partite?

“Leo aveva il fiuto del gol, si vedeva perché era bravissimo nell’inserirsi. Era ancora giovane, veniva dall’Inter, non si pensava che avrebbe fatto la carriera che ha fatto ora, meritatissima”.

In squadra c’è anche Alex Cordaz, molto più capelluto di quello che salva la porta del Crotone ad ogni partita, come ha fatto ieri contro la Juve

“Alex è un ragazzo d’oro. Con noi faceva il secondo, era bravissimo, una persona per bene. Sono felice della sua carriera, gli auguro il meglio. Lui al Napoli? Non saprei se potrebbe essere ideale per il Napoli, di sicuro gli azzurri devono sostituire bene Reina”.

Quindi appende gli scarpini al chiodo ed inizia ad allenare: com’è il calcio visto solo dalla panchina?

“Quando gli allenatori mi dicevano che era completamente diverso quasi non ci credevo, invece è vero. Il calciatore è concentrato su se stesso, da tecnico devi gestire un gruppo e cercare di fare il massimo per vincere. Per questo non tutti i giocatori forti diventano bravi allenatori, servono dinamiche diverse nella gestione della rosa”.

Oggi si rivede più in Callejon o in Florenzi?

“Credo Florenzi. Callejon è più offensivo, più attaccante, invece Florenzi parte più dietro e crossa bene”.

Tra poco ci sarà lo scontro diretto…

“Sarà una partita decisiva perché la classifica è quella che è. Se il Napoli vincesse si porterebbe ad un punto, nello sfortunato caso in cui il Napoli perdesse sarebbe una sentenza. Il pareggio tiene tutto aperto”.

Lei ha vissuto la rivalità tra Juve e Napoli da ambo le parti della barricata: dov’è più sentita e perché?

“Sicuramente di più a Napoli perché a Napoli sentono di più tutto quello che circola e riguarda il calcio. A Torino, invece, vivono tutto in maniera più fredda, più impostata. Ed è questo il bello del Napoli: le persone si lasciano travolgere dalle emozioni, nel bene e nel male perché se gli azzurri perdono i tifosi stanno male”.

Lavezzi, Cavani e Callejon: cosa pensa degli eredi della sua maglia numero sette?

“Quando penso che l’ho messa prima di loro non posso che sentirmi orgoglioso. E’ stato bello portarla in Serie B col mio nome vicino”.

Chi vorrebbe la ereditasse, un giorno, quando Callejon non la vestirà più?

“Mio figlio (ride, ndr). E’ bravo, ha le mie caratteristiche ma è meglio di me, speriamo”.

di Antonio Anacleria - Twitter: @NinoAnacleria

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