Punto 17, Montervino: "Marek straordinario, nella top 5 del Napoli. Il retroscena Man City e il paragone con Lampard e Gerrard. La cresta? Restava dritta anche in doccia " | ESCLUSIVA VIDEO

04.07.2025
18:00
Ciro Novellino

Ultime calcio Napoli Punto 17 Francesco Montervino parla del suo Marek Hamsik nello speciale di CalcioNapoli24

Ultime SSC Napoli - Punto 17, Marek Hamsik dà l'addio al calcio giocato. La partita si terrà il giorno 5 luglio alle ore 19 a Bratislava in Slovacchia allo stadio Tehelne Pole, CalcioNapoli24 la trasmetterà in esclusiva per l'Italia attraverso tutte le proprie piattaforme: sito web, social, Youtube e sul canale 79 del digitale terrestre su Napoli e Caserta.

Chi conosce bene Marek Hamsik, essendo stato il suo primo capitano al Napoli, è Francesco Montervino che ha parlato, in esclusiva, ai microfoni di CalcioNapoli24:

Marek Hamsik, il primo incontro con Montervino

Francesco, te lo ricordi il primo incontro con Marek? Che cosa ti colpì quando arrivò a Napoli?

“Ma diciamo che mi colpì innanzitutto la partita che facevamo l'anno prima in B, la stagione in cui vincemmo il campionato. Mi colpì quel ragazzo che era chiaramente un ragazzo che aveva delle qualità straordinarie. Cosa mi ha colpito di quando l'ho visto il primo giorno? Il suo aspetto fisico. Arriva un ragazzo tanto alto, ma molto magro, mingherlino, sembrava un giovane indifeso, ma con un aspetto di grandissima personalità che già si evidenziava anche al primo incontro. Timido, ma sicuro di sé”.

Quindi hai capito da subito che sarebbe potuto diventare un grande calciatore, magari un simbolo di Napoli.

“Con grande onestà no. Che avesse delle qualità tecniche l'abbiamo capito dal primo allenamento. Però che potesse poi stravolgere i cuori dei napoletani e che potesse diventare, a mio avviso, uno dei migliori centrocampisti offensivi della storia, almeno degli ultimi vent'anni, onestamente non lo pensavo da subito. Questo è stato però un aspetto che Marek si è guadagnato poi nei mesi e negli anni, perché ho visto pochi giocatori così”.

E la cresta? 

“La cresta, ragazzi, è una cosa clamorosa. La cresta, anche sotto la doccia, rimaneva in piedi. Assurdo. Era l'unico giocatore che faceva la doccia e i capelli non si afflosciavano. Rimanevano con cresta alta”.

Marek Hamsik

L'aneddoto di Montervino su Hamsik

C'è un aneddoto particolare, un episodio inedito che ti è rimasto impresso e che riguarda ovviamente Marek?

“Mi è rimasta impressa una delle prime amichevoli, quando proprio in Austria, durante il ritiro, arrivò a contrasto con dei calciatori che erano abbastanza rudi. Lui subì falli, ma in maniera molto tranquilla si alzò senza dire una parola e nelle azioni successive, ricordo che ebbe una tranquillità, una capacità di gestire il momento, ma parlo a livello qualitativo straordinario, cioè facilità di giocare col destro, col sinistro, come se niente fosse successo poco prima, eppure i giocatori di qualità venivano molto spesso picchiati. Lui da subito ha dimostrato di saper gestire le situazioni, di saper gestire i momenti con grande serenità e con grande sicurezza”.

Era un ragazzino di vent'anni o giù di lì, come era nello spogliatoio? Già un leader silenzioso o abbastanza timido?

“Lui era sempre silenzioso, sempre, dal primo anno che arrivò fino al terzo che poi è stato con me, ma da quello che mi risulta anche successivamente, anche quando è stato capitano, lui è stato un leader tecnico, un leader silenzioso, un leader di grande personalità, ma non ha avuto mai un aspetto temperamentale, sempre di aggregazione nello spogliatoio. E’ stato sempre uno che ha portato la squadra dalla parte sua con l'esempio, innanzitutto con la maturità e la tranquillità. Devo essere sincero, quel suo aspetto in qualche modo dava serenità un po' a tutto l'ambiente, quando si diceva se abbiamo problemi diamo la palla a lui, che qualcosa succede, effettivamente era così”.

Tu da capitano rude nel tuo modo di giocare, duro, lui gracilino, più elegante nel suo, come l'hai accolto nello spogliatoio?

“Sì, effettivamente era così. Sono stato un capitano, probabilmente il contrario esattamente di Marek, molto più carismatico, molto più di personalità, molto più di accoglienza, di aggregazione e di presa di posizione. Arrivò un ragazzo giovane che aveva appena compiuto 20 anni e la mia fu un'accoglienza, credo, da capitano, come giusto che sia: quella di prendere un giocatore di grande speranze, farlo sentire tranquillo, metterlo a proprio agio e risolvere quei piccoli problemi che poi lui non ha mai creato, ma che in qualche modo gli si potevano presentare”.

Il paragone con Gerrard e Lampard

Lo hai paragonato a Gerrard e Lampard, cosa aveva di simile?

“Io l'ho paragonato a quei due centrocampisti che hanno fatto la storia del calcio inglese: posso dire senza presunzione che Marek ha fatto la storia del calcio italiano negli ultimi 20 anni, come posizionamento in campo. L'ho paragonato a loro perché era molto simile anche per la prestanza fisica e la fisicità, anche se Marek, poi, negli anni ha preso tanti chili, ma quando è arrivato forse non arrivava neanche a 70. Poi è iniziato a diventare un giocatore che aveva anche nella muscolarità un certo tipo di forma e di forza. L'ho paragonato a quelli perché è un giocatore di grandissima qualità, di capacità tattiche fuori dal normale, un giocatore che faceva tanti gol, tanti assist, probabilmente nell'aspetto fisico più simile a Lampard e nell'aspetto realizzativo più simile a Gerrard, ma nel ruolo sicuramente insieme a questi due fa parte dei tre calciatori degli ultimi 20-25 anni che hanno etichettato quella posizione del campo”.

Da trequartista puro a mezzala di inserimento capace di fare tanti gol, come giudichi l'evoluzione tattica di Marek?

“Per me lui era una mezzala di inserimento, era uno che la porta la doveva vedere di faccia, anche se poi negli anni che ha fatto il trequarti ha fatto lo stesso tanti gol, perché credo l'abbia fatto con Benitez se non vado errato. Nel 4-2-3-1 ha fatto tanti gol, ma la capacità che aveva di leggere l'azione, di leggere la situazione, la capacità che aveva di inserirsi, io dicevo sembra che abbia la calamita, arriva in area e la palla gli sbatte addosso. E’ incredibile perché sa sempre dove va il pallone. E’ quello che chiaramente è un senso dell'orientamento, un senso di posizione che caratterizza soltanto certi tipi di giocatori che hanno delle qualità sovrannaturali”.

Il retroscena Manchester City

Oltre a Inter e Milan in pochi sanno che Hamsik ha rifiutato anche il Manchester City…

“Chiaramente era un giocatore troppo forte per non essere attenzionato da questi club. Per me lui aveva le qualità per poter giocare nel calcio inglese, seppur pensando alla sua poca aggressività. Magari qualcuno non avrebbe mai pensato che potesse far parte anche di un progetto tecnico inglese. Invece all'epoca avevamo degli amici in comune anche al Manchester City che mi dissero apertamente che era un'espressa richiesta di Mancini, lo voleva lì e so per certo che l'entourage del ragazzo rifiutò, perché per Marek la priorità era quella di rimanere a Napoli, di fare la storia, di essere protagonista, di vincere. Però è giusto che la gente sappia che il club più importante di 10-12 anni fa lo ha richiesto e lui non ha battuto ciglio”.

Le tue parole fanno eco con quelle di Mazzarri e Sarri, anche loro ci hanno detto che è bastato poco alla fine per farlo restare a Napoli. Pensi che la carriera di Hamsik sia stata un po' frenata da questo oppure il picco è riuscito a raggiungerlo comunque a Napoli?

“No, io penso che un giocatore deve stare bene con se stesso, tutti possiamo dire, sai forse se Hamsik fosse andato al Manchester City o alla Juventus o all'Inter, probabilmente sarebbe stato in lizza nei primi dieci per il Pallone d'Oro, probabilmente avrebbe vinto più titoli, ma probabilmente non sarebbe stato bene, non avrebbe goduto di serenità. Marek aveva bisogno, per quanto è un glaciale, del calore di Napoli, della gente, aveva bisogno dell’entusiasmo, dell'ambiente, quindi io credo che ognuno sia responsabile di ciò che accade. Probabilmente era quello che voleva e oggi se viene ricordato ancora come un idolo, come un dio, è proprio perché ha fatto queste scelte. Se avesse fatto altre scelte sarebbe stato comunque un giocatore importante nella storia del Napoli, ma non sarebbe stato uno degli idoli incontrastati”.

Gli è mancato qualcosa? Se sì che cosa, perché non si è imposto tra i top del mondo?

“Mi verrebbe da dire forse perché è rimasto a Napoli perché l'attenzione che aveva questo tipo di calciatore era un'attenzione diversa. Io non credo che non sia stato tra i top del calcio mondiale: chi capisce di calcio sa che lui era assolutamente tra i primi dieci centrocampisti del mondo all'epoca. Gli è mancato un po' quella personalità ignorante che magari ha caratterizzato la mia carriera, ma non era una sua qualità. Marek non aveva bisogno di quello, anche quando riceveva delle critiche dalla gente, chiedendogli un po' più di cazzimma, lui restava tranquillo. A lui devi chiedere l'assist, il gol, l'inserimento, la tranquillità quando gli si dà la palla in un momento dove la partita è bollente, gli devi chiedere personalità tecnica, gli devi chiedere serenità, queste sono le caratteristiche più importanti di quel giocatore, se gli chiedi cazzimma, aggressività, sono cose che non fanno parte del tuo modo di essere”.

Può essere che le critiche che Marek ha ricevuto nel corso degli anni siano dovute al fatto che lui era un po' troppo napoletano?

“Marek è napoletano nel sentimento, non nell'atteggiamento, anche quando gli hanno mosso critiche, ti posso garantire che da un orecchio gli entravano e dall'altro gli uscivano. Guarda che lui ne ha subite tante negli anni, pur facendo 10, 11, 12 gol e assist all'anno, quindi a volte diventava stucchevole. In qualche modo ho rivissuto un po' la stessa situazione anche con Zielinski, era un giocatore che ti risolveva la partita qualitativamente e Marek era paradossalmente la stessa cosa. Però, vi posso garantire che in due anni e tre mesi che ci ha giocato insieme, fra partite di campionato, di Coppa Italia e allenamenti compresi, gli avrò visto sbagliare un passaggio, un cross e un tiro soltanto pochissime volte”.

Marek Hamsik

Eppure Reja mi ha raccontato che una volta lo ha mandato a quel paese per un fallo non fischiato durante una partitella.

“Di aneddoti ce ne sono tantissimi. Per esempio? Abbiamo discusso un po' tutti con il mister Reja, perché era una persona che cercava di tirarti fuori il meglio, molto spesso ti prendeva di mira e magari ti rompeva talmente tanto le scatole e se è riuscito ad avere uno scatto d'ira anche Marek potete immaginare. Però tante volte lo faceva per tirar fuori il meglio dai calciatori.

Nel pantheon della storia del Napoli, dove lo collochi Marek? Sul podio insieme a Maradona?

“Allora, se non sul podio, probabilmente fra i primi cinque però. Perché è stato un giocatore troppo forte. Io ho visto fare delle robe che non davano all'occhio, la gente non se ne accorgeva. Molto spesso, quando si parla di lavoro oscuro, spesso si pensa che lo possano fare soltanto giocatori che corrono per gli altri. No, a volte il lavoro oscuro lo fa anche chi riesce ad occupare una posizione del campo in un determinato momento perché sa che la palla arriva lì e sa che può determinare in quella posizione. Lui sotto questo punto di vista è stato straordinario. Non so se fra i primi tre, ma fra i primi cinque, sei sicuramente”.

Allenatore o dirigente? Come lo vedi nel futuro? Lui sta studiando anche da allenatore.

“Sarei curioso di vederlo come allenatore anche se non gli riconosco questo tipo di qualità anche se potrebbe sorprendere. Lo vedo però come dirigente, come immagine di un club. Lo vedo come ambasciatore di un club perché ha l'appeal che lo caratterizza. La cresta è un elemento che lo ha sempre caratterizzato nel mondo. Vedere arrivare a un sorteggio Champions, Marek Hamsik, rappresentante di una società, magari il Napoli in futuro, sarebbe bello. Tutti direbbero ‘Sta arrivando il Napoli’, non so se mi spiego. Il suo modo di fare, il suo appeal, il suo carattere, secondo me, si può identificare in un rappresentante di un club”.

Quando l'hai visto arrivare a Frosinone, per quel triangolare che avete giocato insieme, cosa hai pensato?

“Innanzitutto, è talmente un ragazzo perbene che la prima cosa che ha fatto mi ha abbracciato e mi ha detto mio grande capitano. Lui è stato un'icona e io sono stato sicuramente un buon giocatore, ma niente di paragonabile a lui, però il fatto di far sentire l'altra persona importante, ti identifica, ti caratterizza con una frase, ti fa capire l'umanità e la sensibilità di quel ragazzo. Non lo vedevo da tanto, quindi è stato davvero un piacere rivederlo. Ci siamo davvero divertiti fra Calaiò, Santacroce, Paolo, Cannavaro, Morgan De Santis: è stato un bel ritrovarsi e ricordare”.

Davanti a te c'è Marek, ora dà l'addio al calcio, il tuo messaggio.

“Non è un addio Marek, perché chi ha lasciato un segno come te non potrà mai dare l'addio al calcio: rimarai per sempre nella testa dei tifosi, ma soprattutto nella testa di quelli del Napoli. Io sono un tifoso del Napoli, non posso dimenticarti, non posso accettare che tu dia l'addio, ma questo è soltanto un arrivederci, con la speranza di poter vedere in futuro un giocatore che sia simile a te. Uguale sarà impossibile, ma simile sì. L'augurio più grande che ti posso fare è che tu possa davvero festeggiare il 5 luglio, possa piangere, perché forse mai lo hai fatto. Ti auguro il meglio, meriti il meglio e spero che tu possa star bene, te e la tua famiglia, e possa goderti la vita come è giusto che sia”.

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Francesco Montervino
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