Bellinazzo racconta: "Maradona jr ama il papà, sapete cos'ha fatto a Firenze? Mi ha colpito una scena"

19.01.2017
16:10
Redazione

Toccante, interessante, coinvolgente è il messaggio postato su Facebook dal giornalista de Il Sole 24 Ore, Marco Bellinazzo: "Oggi (martedì scorso, ndr) ero a Firenze per la Hall of fame della Figc. Ci sono andato soprattutto perché sapevo che forse ci sarebbe venuto Lui. E speravo di vederlo. Volevo abbracciarlo, fare una foto e ringraziarlo. Inoltre avevo due copie del mio primo libro "Il Napoli di Maradona" (lo cito perché non è più in commercio e quindi non faccio "pubblicità ingannevole"). Una volevo consegnarla a Diego e l'altra farmela autografare. Avevo un progetto preciso, insomma che contemplava la conquista di Maradona.


La cerimonia si teneva a Palazzo Vecchio nell'affascinate sala degli affreschi. Che in quanto affreschi non amano il caldo, si sa. Solo che complice l'inverno artico di questi giorni la sala era una specie di frigorifero. Ospiti e pubblico tutti con i cappotti addosso e le sciarpe ben allacciate al collo.
A un certo punto Lui è apparso. In tuta Puma, scarpe senza calzini e cappellino. Come lo avete visto in questi giorni. Come era forse ieri al San Carlo.
Si è seduto in prima fila tra Antognoni e Paolo Maldini. Io ero in quarta fila, fremente. A chiedermi come potessi fare per avvicinarlo. Volevo un pezzetto di Maradona anch'io. Dopo tutto per l'affetto che gli ho portato da quando avevo 10 anni pensavo mi fosse dovuto. 
Durante le premiazioni tutti si sono avvicinati a salutarlo, ad omaggiarlo, da Ferlaino (c'era pure il Presidente degli scudetti) a Tardelli, da Bergomi a Oriali. Diego ha riso e scherzato per tutto il tempo. Mi sembrava sereno, a casa sua. 

Io invece ero lì a pochi passi del mio Mito senza poterlo toccare. Uno strazio. Peggio del gelo che intanto si era impossessato delle mie gambe come di quelle di tutti del resto (a parte Ilaria D'amico che ha presentato in tailleur e calze nere senza colpo ferire, quando si dice il professionismo!). 
A un certo punto ho deciso di osare. Di lanciarmi in prima fila al posto di Maldini (ch'era intanto salito sul palco) accanto a Diego e di consegnargli il mio libro e di avere tre secondi della sua attenzione. Ma poi è accaduta una cosa: tra gli accompagnatori di Maradona, ho scorso Diego Junior, appena riaccolto a braccia aperte dal padre, e sempre più somigliante a quel genitore che tanto dolore gli inferto. E mentre lo osservavo gli ho sentito dire agli altri (in dialetto napoletano): "Ma non è che avrà freddo? Perché non gli diamo il giubbino?". Gli altri del gruppo l'hanno a malapena ascoltato, intenti a scattare foto, chattare e parlare al cellulare.

E allora mi sono sentito un impostore. Ho sentito che solo l'amore di quel figlio valeva e non certo il mio idolatrante e autoreferenziale amore per il Dieci. Non fraintendetemi. Abbiamo amato e ameremo per sempre Maradona perché ci ha dato la speranza di un riscatto, ci ha resi orgogliosi di essere napoletani, la felicità di essere contro tutti e di essere vincenti. 

Ma l'amore che io ho percepito nelle parole e nella dolcezza di quel figlio mi hanno fatto sentire sciocco e inopportuno(Ah, se Diego avesse intorno solo persone che lo amano come lo ama quel figlio!). Allora, prima che la manifestazione finisse, ho fatto un'altra cosa: mi sono avvicinato a Diego Junior, mi sono presentato e ho dato a lui le due copie. "Questo libro parla del primo scudetto - gli ho detto -. Dentro ci trovi anche un po' della tua storia. E sono felice che si sia conclusa bene". Lui mi ha sorriso e ringraziato. Non so se sono riuscito a trasmettergli quello che avrei voluto. Credo di no. Ma sono andato via sereno. Anche se non ho portato a termine il mio piano. In fondo il mio pezzetto di Maradona ce l'ho avuto. Ed è stato qualcosa di straordinario. Non poteva che essere così. Il mio Maradona avrà per sempre vent'anni. Quello che ho visto appena di nuca è più giusto, almeno per come ora la vedo io, che sia solo il Maradona di Diego Junior e della sua famiglia".

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