Celestini: "Pesaola, che uomo: ero un guerriero ma con lui diventai gladiatore. Vi spiego come sono diventato importante per il Napoli e su Maradona..."

11.10.2018
10:40
Redazione

Costanzo Celestini nel campo dei ricordi ha il numero 7, ma andrebbero bene anche il 4, l'11 e l'8. Tutti i ruoli del centrocampo li ha coperti

Costanzo Celestini nel campo dei ricordi ha il numero 7, ma andrebbero bene anche il 4, l'11 e l'8. Tutti i ruoli del centrocampo li ha coperti da Marchesi a Pesaola, da Santin a Bianchi. «Solo la 10 non mi davano mai: prima c'era Diaz, poi Dirceu infine Maradona. Non ho mai osato protestare». Semmai c'è da chiedersi come riuscisse, lui alto 1,70, a fermare (in ogni modo) gente come Platini, Falcao, Muller, Zico, Rummenigge: «Solo uno mi faceva diventare matto: era Liam Brady. Lo menavo e non reagiva, colpivo più forte per intimidirlo e non dava mai un segnale di reazione. E questa cosa mi faceva saltare i nervi».

 

Celestini, il golfo del Tigullio e è la sua seconda casa ormai?
«Forse perché mi ricorda la mia prima casa, Capri. Il mare è azzurro come giù da me: ho iniziato a fare l'allenatore nella mia isola, un bel progetto che alla fine degli anni 90 in pochi anni ci ha portato in Eccellenza. Poi all'improvviso si sono fatti fulminare dal dio denaro e il pallone è scoppiato. Ed è stato un vero peccato. A Capri c'è la mia fanciullezza, papà e mamma che mi nascondevano i giornali per non farmi sapere che il Napoli aveva perso perché sennò mi veniva la febbre e non andavo a scuola, i primi calci nella Religione e Patria di Anacapri e nella Mater Tiberio di Capri».

Che allenatore è Celestini?
«Uno all'antica, senza droni o altro. Porto un quaderno, prendo appunti, ricordo quasi tutto a memoria, non ho molti assistenti. Sono tra i Dilettanti perché non pago nessuno per allenare. Ora la prima cosa che chiedono è se hai con te uno sponsor. Ma che stiamo scherzando?».

Con i rigori che si procurava il Napoli si salvò. Era il 1983.
«Una stagione incredibile. Con Rambone e Pesaola le cose cambiarono. Il Petisso, che uomo! Io ero un guerriero, ma lui aveva la capacità di trasformarmi in un gladiatore. Un motivatore straordinario, unico. Sarei andato a nuoto a Capri per lui».

Come ha fatto a diventare una pedina così importante per quel Napoli?
«Sostanzialmente bisogna essere umili. E poi sempre concentrati. Non ce ne sono tanti di centrocampisti all'antica nel calcio moderno. Forse Allan. Quando marchi il più forte degli altri, ti tocca sempre la seconda mossa, ti muovi in base a come si muove l'avversario. Lui vuole fare una cosa, tu devi impedirglielo. Ma i miei maestri erano tecnicamente dei geni del calcio: Sormani, Cané e Mariolino Corso. E poi che lezioni mi hanno dato campioni come Krol, Dirceu, Bertoni, Diaz. Rudy era speciale: il primo ad arrivare al campo e l'ultimo ad andarsene. Io che ero cresciuto vedendo la grande Olanda non potevo crederci. E ai miei giocatori di adesso che spesso mi dicono che ai miei tempi non facevano nulla in allenamento porto come esempio l'olandese. E ogni tanto gli faccio fare la metà delle cose che facevano noi con Marchesi o Bianchi: li stendo».

Uno scudetto e una Coppa Italia: il suo periodo d'oro è quello?
«Anche se un bel pezzo di quella stagione 86/87 ero infortunato, ma la gioia della gente era contagiosa. Il ricordo più bello in azzurro è però lo scudetto del 79, con la squadra Primavera. Da poco io, Caffarelli, Raimondo e Vincenzo Marino, Nuccio, Di Fusco, Sponsillo, Della Volpe, Palo e gli altri abbiamo creato un gruppo su WhatsApp: vogliamo organizzare delle partite per beneficenza».

Mai litigato con Maradona?
«Impossibile litigare con Diego. Però una volta ci rimase male: c'era un'amichevole tra il Napoli e l'Argentina al San Paolo e io lo marcai in maniera soft, mica potevo fare come facevo con gli altri. Mi chiese la maglia a fine gara ma io l'avevo promessa a un altro, a Borghi».

Vero che i rigori li voleva tirare lei?
«Vero, ma poi li calciava sempre Ferrario. All'epoca la regola era che chi procurava il rigore era meglio che non lo calciava».
 

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