
Juan Jesus: "Vi racconto la mia storia, il Napoli mi voleva 15 anni fa! Qui è come una famiglia. Il più forte al mondo? Non è Maradona perché..."
Ultime calcio Napoli Juan Jesus è il protagonista del nuovo appuntamento di Drive&Talk
Ultime calcio Napoli - Torna il classico Drive&Talk, il podcast targato SSC Napoli che ci permette di conoscere meglio i nostri campioni nel tragitto casa/lavoro. In questo episodio il protagonista è Juan Jesus che ci racconta la sua quotidianità e le esperienze sportive che ne hanno segnato la crescita:
Juan Jesus è il protagonista di Drive&Talk
"Ogni tanto anche i miei figli per scherzo mi chiamano Giovanni e pure il mio migliore amico a Milano mi ha sempre chiamato Giovanni Gesù!
Routine mattutina? Ce ne sono due: quando ho i bambini con me, ci svegliamo alle 7, li devo preparare, c'è la babysitter che mi dà una mano, facciamo colazione, porto Dudu a scuola, va in seconda elementare, li lascio alle 8:10 e al ritorno prendo Maya e la lascio all'asilo. Poi parto per il centro sportivo così arrivo un po' prima. Quando non ho loro mi sveglio con calma, mi preparo e poi parto per fare direttamente colazione.
C'è sempre musica a casa mia? Sì, la musica svolta sempre la giornata, anche se la giornata è grigia.
Caffè la mattina? So che a Napoli prendono tanti caffè al mattino ma noi abbiamo il caffè di Tommaso... Per me non è fondamentale, se non lo bevo non è che mi cambia la giornata. Mi piace fare colazione seduto, con calma, bevo il mio cappuccino. Troppo caffè a volte per me fa anche male. Ora gli allenamenti finiscono un po' più tardi, ma in genere passo a prendere Dudu e se è martedì o giovedì lo prendo direttamente dalla scuola calcio e poi torniamo a casa. Facciamo i compiti, giochiamo un po', ceniamo e poi abbiamo la nostra mezz'oretta di film tutti insieme.
Dudu ha scelto lui di giocare a calcio? Quando ha compiuto 4 anni ha avuto uno scatto con questa cosa del calcio e oggi conosce tutti i calciatori di tutte le squadre. Quando c'è la possibilità di venire allo stadio lo fa sempre: conosce tutti, fa come se fosse a casa sua. Va bene che lui è alto, potente, tira bene, ha delle caratteristiche per cui può diventare un ragazzo di buona prospettiva.
Ruolo? Oggi fa il difensore. E' tifosissimo del Real Madrid, a lui piace vincere facile!
Come è stato il tuo percorso di formazione? Avevo dei piani, giocavo all'America Mineiro, la squadra della mia città, e pensavo: sto qua e faccio come fanno tutti che dall'America vanno al Cruzeiro e poi in Olanda e poi magari in Francia e poi ritorno in Brasile. Un mio amico mi propose di andare a fare un provino all'Inter di Porto Alegre e ho accettato: giocavo con quelli dell'89/90, più grandi di me e ho pensato che se fosse andata male sarei rientrato alla base. Mio padre mi disse di restare, l'Inter di Porto Alegre ha un settore giovanile molto importante e quindi decisi di restare e mi è sempre andata bene. Dopo il secondo anno, ho sempre giocato con quelli più grandi e il loro allenatore mi vide e mi disse che gli serviva uno come me: io facevo il centrocampista davanti alla difesa, ero alto e avevo una buona prospettiva. Abbiamo vinto il Libertadores e poi ho fatto tutto il settore giovanile della nazionale, ne ero capitano. Ho vinto il mondiale Under 20, ho vinto il Sudamericano, le Olimpiadi. Avevo una carriera già importante, quando fai la nazionale, ti si aprono una marea di opportunità e già c'era l'interesse del Napoli all'epoca che mi voleva ma il presidente non mi volle liberare e mi disse 'semmai vai a gennaio'.
Poi a gennaio ci fu l'offerta dell'Inter e sono andato all'Inter. Nei primi sei mesi non ho giocato, ero piccolo, ma per me era stato un onore essere lì con quelli con cui giocavo alla Playstation sei mesi prima: Zanetti, Cambiasso, Milito, Cordoba, Chivu... Quando vedo Ivan Cordoba e Walter Samuel e anche Chivu penso a quanto mi hanno dato una mano. Poi sono andato a Roma e lì ho giocato con Totti, Nainggolan, De Rossi che oggi è uno dei miei amici su cui conto tanto, oltre a Rudiger, Manolas, Dzeko che per me oggi continua a fare la differenza. Abbiamo fatto la semifinale di Champions e poi sono venuto a Napoli.
Il trasferimento a 20 anni all'Inter? Sono sempre stato molto professionale, per me è sempre stato lavoro perchè vengo da una famiglia di classe media, normale e quindi ho sempre fatto di tutto per aiutare la mia famiglia: quando ho avuto il mio primo contratto da professionista, la prima cosa che ho fatto è stata comprare una casa a mia madre. A 12 anni andavo da solo agli allenamenti perchè mio padre lavorava e mia madre era casalinga. Prendevo l'autobus, la metro e dovevo fare altri minuti a piedi, avevo 11 anni e a quell'età era comunque un viaggio, il Brasile è molto grande. A volte mio padre doveva scegliere se mandarmi ad allenarmi o altro, non è che guadagnasse bene, lavorava in farmacia, doveva giustamente fare i conti ed un modo per ringraziare è stato anche questo, la prima cosa che ho fatto è stata comprare una casa a loro.
A Milano è facile perdere la testa, giochi nell'Inter, hai 20 anni, c'è troppa distrazione, se tu non hai la testa, abbiamo visto nel calcio quanti ragazzi forti hanno perso la testa perchè se a Milano non sei veramente concentrato, se non sei lì per lavoro, ti rovini. Mi sentii dire da Zanetti, all'epoca aveva già 37-38 anni: 'Ma tu hai veramente 20 anni? Impossibile, corri come un cavallo!', e gli ho risposto che era un po' la mia caratteristica. A 20 anni mi ispiravo tanto a Lucio, che prendeva la palla e dribblava tutti, anche in allenamento, era un animale. E io volevo fare come lui, andavo aggressivo e infatti ho preso 18-19 cartellini gialli.
Da dove viene l'estro di divertirsi in campo dei brasiliani? Viene dalla strada, perchè da piccoli giochiamo per strada, ci divertiamo con gli amici, non c'erano altri giochi da fare, c'era il pallone e basta, giochi per strada, sui campi di sabbia, campi belli, brutti, però ti diverti. Per noi il divertimento era giocare a calcio. Quando c'era il tempo libero a scuola... calcio! Dopo la nazionale del 2006 e del 2010, è difficile perchè tra Julio Cesar, Dida, Cafù, Dani Alves, Juan, Lucio, Roque Junior, Emerson, Gilberto Silva, Roberto Carlos, Kleber, Ze Roberto, Kakà, Ronaldo, Ronaldinho, Adriano, Robinho, Diego, è sempre stata una nazionale importante. A volte mi fa pena Neymar perchè ha la pressione addosso, io mi diverto e basta. Come Ronaldinho, era così troppo forte che si divertiva, ha vinto un Pallone d'Oro, non serve vincerne 10 per dire di essere il più forte.
Ronaldo il Fenomeno se non si fosse rotto le ginocchia poteva vincere 10 Palloni d'Oro tranquillamente. Io non ho visto Maradona, però Ronaldo il Fenomeno per me è sempre stato il più forte, perchè se ascoltiamo Cannavaro, Maldini, Nesta, tutti questi che sono i difensori più forti della storia e che dicono di aver fatto fatica con Ronaldo, pensi: 'e io che potevo fare? Manco lo vedevo'.
Oggi è tutto corsa, potenza e quando esce un calciatore come Kvaratskhelia che fa la differenza, per cui la gente si chiede da dove sia uscito, perchè fa delle cose che non sono del calcio di oggi. Oggi c'è più equilibrio tra le squadre, come nel campionato di quest'anno, va bene la parte sopra, ma nella parte bassa della classifica sono tutti vicini.
Il sogno di ogni sportivo è partecipare alle Olimpiadi? Le ho fatte a Londra nel 2012, è stata un'esperienza bellissima. Alla cerimonia non siamo andati perchè giocavamo il giorno dopo, non stavamo nemmeno nel Villaggio olimpico perchè ci dovevamo spostare a Manchester. Siamo stati due giorni nel Villaggio Olimpico ed è come se fosse una vacanza, c'è la sicurezza e poi è tutto aperto e vai dove vuoi. Magari c'è quello del tiro con l'arco che ha perso la prima giornata ma resta là, si può restare finchè finisce l'Olimpiade e magari è già in vacanza, là fanno feste, è un villaggio, è una bella esperienza. Abbiamo fatto la finale a Wembley e c'erano 96mila persone: una cosa bellissima, a ricordarlo mi viene anche la pelle d'oca.
Cosa fai adesso? Ora vado a mangiare, mi alleno e poi devo tornare a casa. Perché oggi ho i bambini, oggi siamo insieme perché è il mio giorno con loro. Stiamo insieme, anche se oggi piove un po', quindi... faremo i popcorn. Quando fa così, prepariamo sempre i popcorn, guardiamo film e ci rilassiamo. Poi coloriamo, giochiamo, facciamo quello che dobbiamo fare... Ma ora ci stiamo preparando per l'allenamento, perché per me è lavoro... Vado a lavorare. Mi fermo sempre a salutare tutti. Non è che io sia dall'altra parte perché sono un calciatore, siamo colleghi. Vado a salutare tutti. Per me è come una famiglia, ma non è così solo al Napoli, era lo stesso all'Inter, ho un buon rapporto con tutti all'Inter. Lo stesso a Roma. Perché per me il contatto con le persone è importante. Ho bisogno di conoscere i nomi, ho bisogno di vivere bene dove lavoro, perché quando vieni al lavoro hai un motivo in più per venire felice e sereno”.