L'esperto in cardiologia, Corbalan: "L'associazione dei giocatori dovrebbe rifiutarsi di giocare: lo sport è fonte di contgio di primo livello"

23.04.2020
09:30
Redazione

News calcio, le parole di Corbalan, specialista in cardiologia, sulla ripartena del calcio

Ultimissime - È stato un fuoriclasse del basket europeo negli anni Ottanta, playmaker del Real Madrid campione del mondo e della Spagna vice campione olimpica. Juan Antonio Corbalan è adesso uno dei più noti specialisti in cardiologia e medicina dello sport nel suo Paese:

Dottor Corbalan, ritiene che l'emergenza Coronavirus sia stata affrontata in maniera corretta prima dai medici e poi dai politici?
«Con i risultati che abbiamo davanti è chiaro che ci sono state delle falle. In tempi di crisi le decisioni adottate spesso non sono le migliori e penso che proprio questo sia accaduto. L'OMS ha sbagliato a valutare il problema e ha agito in ritardo. I casi dell'Italia e della Spagna, in particolare, sono stati esempi di mancanza di lungimiranza e conoscenza approfondita del problema. In ogni caso, il modo in cui il virus si è diffuso significa che alcuni mesi prima del preavviso globale molti infetti avevano già lasciato la Cina. Ci sono stati eventi sportivi, manifestazioni politiche e mezzi di trasporto collettivi ancora per un lungo periodo e ciò ha facilitato il contagio. Il lockdown è l'unico modo per affrontare la prima fase dell'epidemia, ma ora arriva la sfida per tutti i Paesi: come riaprire le città alla vita. Credo che, anche se si tratta di questioni locali, ciò merita un approccio europeo di azione coordinata tra distretti, città, regioni e Paesi per prevenire una cattiva strategia e una ripresa dell'epidemia».

Gli atleti contagiati dal Coronavirus a quali controlli dovrebbero sottoporsi prima di tornare ad allenarsi?
«Sotto questo aspetto gli atleti non rappresentano un mondo a parte e devono seguire le stesse linee guida del resto della popolazione. I casi più gravi non hanno riguardato atleti professionisti, da quanto ci risulta, però molti atleti dilettanti più anziani potrebbero aver sofferto per la malattia, con gravità maggiore o minore. Questi casi possono essere i più problematici, con possibili gravi conseguenze, come la compromissione della funzionalità polmonare. Ma potrebbero esserci anche problemi di natura renale, vascolare, cardiaca e metabolica. Il ritorno all'attività dovrebbe essere fatto con cautela e con una valutazione della funzionalità polmonare e cardiaca».

Lo sport prova a ripartire e in particolare c'è grande fermento da parte delle più grandi leghe calcistiche europee. La sua opinione da medico ed ex atleta?
«La parola ribellione suona un po' dura in questo momento, ma sì, io penso che l'associazione dei giocatori dovrebbe rifiutarsi di giocare. Almeno in Spagna ci sono molte persone non diagnosticate e, se non facciamo attenzione, possiamo tornare al punto di partenza. Sarebbe pericolosissimo. Lo sport può essere una fonte di contagio di primo livello se si infrange quella barriera fondamentale che è la distanza di sicurezza. Una gara è rischiosa perché si corre dietro agli altri. Bisogna fare sport da soli. In quelli di squadra, infatti, gli spostamenti d'aria causati dal movimento dei giocatori possono mantenere il virus sospeso nell'aria che respiriamo. E ciò soprattutto in uno sport come il basket, che si gioca al coperto e con una iperventilazione per molti giocatori in poco spazio. Mi sembra una presa di posizione coerente con l'attuale situazione».

Ma il calcio insiste, dato che ci sono in ballo miliardi di euro per i diritti televisivi.
«Diciamolo con chiarezza: io non giocherei più, lo sport va considerato finito in questa stagione e ciò vale anche per le partite a porte chiuse. L'aspetto economico è di vitale importanza, ma non è superiore ai problemi delle persone normali che perderanno il loro lavoro e forse la loro casa non pagando il mutuo. Se non affronteremo la situazione sanitaria in modo assoluto, ci troveremo sempre con la spada di Damocle sopra di noi».
 

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