Quagliarella: "Ricordo l'emozione del mio esordio al San Paolo, i tifosi non devono scusarsi con me! Ho un poster con lo striscione dedicatomi, dissi afammocc dopo la sentenza! Sul ritorno..." [VIDEO]

22.04.2017
23:14
Redazione

Fabio Quagliarella, attaccante della Sampdoria, ha rilasciato alcune dichiarazioni al programma ‘I signori del calcio’ in onda su Sky Sport. Ecco quanto evidenziato da CalcioNapoli24.it:

"Prima dell'ultima partita di campionato con l'Udinese, in casa contro il Cagliari, mi arrivò in settimana la chiamata della società e del mio procuratore che mi parlò della 'probabilità' che il Napoli mi volesse. Mi disse che il giorno dopo avrei dovuto dare una risposta, io risposi: 'Guarda non c'è bisogno di aspettar domani, te lo posso dire anche ora!'. Era bella quella cosa di sapere che tornavo a casa. Avevo il poster di tutta la squadra del Napoli, di Maradona e di Careca. Parlai col presidente (De Laurentiis, ndr) e chiesi qualche giorno in più di vacanza: andai in Polinesia e ricordo che al rientro in Italia c'erano già canzoni, pizze e caffè col nome mio. Mi dissi: ancora devo indossare questa maglia, dopo che succede?! Ovviamente sapevo di avere grande responsabilità, rappresentavo per i tifosi uno di loro in campo. Con me c'erano Paolo Cannavaro, Iezzo e Viale con cui condividevo questa 'pressione' bellissima. Feci l'esordio in Palermo-Napoli, ricordo ancora il mio esordio col Napoli al San Paolo contro il Livorno: iniziai ad emozionarmi già nel tragitto verso il San Paolo, ero teso e sudavo senza muovermi! Poi però riuscii a calmarmi ed andò alla grande".

"Ad Udine dividevo lo spogliatoio con Di Natale: lui non voleva saperne proprio di giocare contro il Napoli. Una volta però ha giocato con me al San Paolo in un Napoli-Udinese! Credo forse sia stata l'unica volta che è venuto al San Paolo, quella era una scelta sua, anche lui l'ha detto ultimamente. Io prendevo il ritorno come un modo per tornare dalla famiglia invece lui non ne voleva sapere! Era una cosa divertente".

"Dal mio arrivo a Napoli, anzi già da un anno prima, iniziavano ad arrivarmi lettere anonime, minacce di morte, messaggi sul telefonino di ogni genere, a me, a mio padre, a mia madre, di qualsiasi natura. Attacchi brutti di pedofilia, di camorra. E da lì è iniziato un incubo. È iniziata a venire a mancare la serenità per giocare. Questo fatto era diventato un incubo, un’ossessione. Qualsiasi persona ti guardasse, tu avresti potuto dire “può essere lui, può essere l’altro”. E credetemi, io non amo tanto ritornarci su, perché fa male, perché è come riaprire una ferita che mi sono portato dietro per diversi anni. Non è una cosa di uno, due, tre mesi, stiamo parlando di anni e anni. Ho iniziato a perdere la mia serenità. Quando dovevo conoscere la sentenza, la notte non ho dormito e quando la mattina successiva mi è stata comunicata da mio padre non sapevo se ridere o piangere. Usai un’espressione napoletana: ‘Vafammocc’. Ora le persone quando mi vedono si scusano, ma lo dico a tutti che non si devono scusare: non sapevano nulla!".

"Il mio sogno era giocare con la fascia di capitano a Napoli, e questo sogno mi è rimasto in gola insieme al Mondiale del 2010. Il Napoli ha tante ambizioni ed io sono in avanti con l’età, sono grande. Quello che mi importa è di aver fatto pace con la mia famiglia. Quello striscione che è stato esposto in Napoli-Atalanta, ho fatto fare un poster e ce l’ho a casa. “Nell’incubo in cui hai vissuto enorme dignità, ci riabbracceremo presto Fabio, figlio di questa città”. Cosa dire? Non era dovuto nei miei confronti, ma è una cosa che mi ha riempito il cuore all’ennesima potenza".

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