Rivieccio: "Vi racconto il Covid-19, fidatevi: è più infame di quel che pensavamo"

29.10.2020
10:00
Redazione

Rivieccio parla della sua esperienza col Covid-19

Notizie Covid - Gino Rivieccio, attualmente alle prese col Covid-19, ha raccontato la sua esperienza da un letto di ospedale ai microfoni de La Repubblica. 

Ecco alcuni passaggi: 

Quando è cominciata?

"Domenica 11 ottobre: e chi se ‘o scorda? Mentre assistevo alla pantomima juventina allo stadio, avverto dei brividi. Infilo il termometro: 38 . Mi dico: nooo, una Tachipirina e domani mi alzo senza febbre. See. Il mattino seguente avevo 38.5. Ma la cosa inquietante erano i dolori alle spalle, fortissimi, la Tachipirina non attenuava nulla. E ho continuato così per 4 giorni".

Senza un tampone: perché?

«Mi ero sottoposto al test solo qualche giorno prima. Diceva: negativo. Non volevo lasciarmi condizionare dalla paura, ma intanto non sentivo più odori né sapori, e avevo la tosse».

Quindi arriva il tampone...

«Ecco, una volta "tamponato", ho visto in faccia la dura realtà. Non solo positivo, ma con carica virale alta. Ho avvertito subito la Asl, ho cominciato la terapia del medico: Zitromax , Clexane e cortisone, tutto da protocollo». 

Quindi la febbre dura ancora e lei sta male. E poi, cosa succede? 

«Due settimane di febbre, la tosse che non andava via. Faccio una tac: polmonite bilaterale. Come tanti. E mi ricoverano . Meno male che siamo in ottime mani: il dottor Peppe Fiorentino che dirige il reparto è un fuoriclasse. Ma tutto il personale è straordinario: la carica di umanità e di dolcezza che sto riscontrando è commovente, il virus si sconfigge non solo con le terapie ma anche con la immensa umanità e disponibilità. E questo è anche merito del direttore generale Maurizio Di Mauro, questa è una squadra Champions».

Cosa ha imparato di Sars-Cov-2? 

«Che è assai più stronzo di come, dal Sud, ci appariva. Che l’orologio va a contrario. Che stiamo attraversando il nostro febbraio nero, Dio ci protegga. Il virus è infame assai, sì, non guarda carta d’identità: qui sono ricoverati anche trentenni».

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