I tre indizi che fanno una prova

26.08.2024
10:00
Bruno Galvan

Non è stata solo una vittoria in termini di risultato quella di ieri sera

Le frasi di Antonio Conte, sia nel pre che nel post gara, sono quelle che ti entrano dritte nel cuore e nell’anima. Che fosse un motivatore non c’era bisogno di scoprirlo certamente ieri sera. Ci sono però tre indizi che fanno una prova piuttosto evidente. Roba che balza agli occhi dal punto di vista dei movimenti, delle giocate e della corsa.

Partiamo da Di Lorenzo. L’azione che conclude in gol nasce dai suoi piedi. Da braccetto di destra si inserisce in area di rigore dopo lo scambio tra i due trequarti ‘stretti’ Politano-Kvara. Un movimento, quello del capitano, che ha praticamente da sempre caratterizzato la sua carriera in proiezione offensiva. La marcatura pone fine ad un’estate in cui si è parlato tanto; forse troppo. Qualcuno ha perfino messo in discussione il ruolo di braccetto di destra dimenticando che Giovanni in quel ruolo è nato calcisticamente avendolo ricoperto nei primi anni di carriera.

Se il Buongiorno (Alessandro) si vede dal mattino, Conte ha portato a Napoli un difensore cazzuto che mancava da almeno due anni. L’ex Torino sul centrosinistra ha offerto una prestazione maiuscola bloccando Orsolini e rompendo con il timing giusto la linea difensiva per non renderla troppo piatta. La prima da titolare è stata positiva.

Il terzo indizio che ci porta a credere che Conte sia entrato nella testa dei suoi ragazzi sta nel lavoro di Kvaratskhelia e Politano. Farsi abbagliare, in senso positivo ci mancherebbe, dai loro dribbling, assist, giocate tecniche è molto facile. La vera svolta di Conte è stata quella di convincerli a sacrificarsi senza palla per dare una mano al loro compagno sulla corsia esterna. Khvicha e Matteo hanno fatto un lavoro eccezionale. 

Se il Napoli ieri non ha sofferto l’uomo in meno sulle fasce (il Bologna faceva un 4-2-3-1 mentre il Napoli il 3-4-2-1) lo deve ai chilometri percorsi proprio dalle due ali. Non è mai semplice convincere chi ha nel dna più la fase offensiva che quella di non possesso. Tre indizi fanno una prova, il cazzotto del Bentegodi è servito a Conte per chiudere nell’armadio gli scheletri del passato. 

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