Repubblica rivela: "Mazzarri disgustato dal mondo del calcio: potrebbe dire addio. Da Moratti a Zanetti, c'è una cosa che non riesce a spiegarsi"

17.11.2014
10:45
Redazione

L'edizione odierna di Repubblica scrive su Walter Mazzarri: MOLTI cercano Walter Mazzarri, in questi giorni. Si appostano, lo braccano, ma lui non c’è. Telefonano, e non risponde. È a Milano? A Empoli? A San Vincenzo? Nessuna notizia certa. Una primula rossa. Vuole solo volatilizzarsi, sparire, via. Tornerà a parlare più in là. Di colloqui, in privato, ne ha a bizzeffe, con amici e gente del calcio. Walterone sta riavvolgendo il nastro della sua avventura e tutto gli appare chiaro: i suoi errori, i complotti altrui, le macchinazioni, i risultati che in fondo c’entrano poco. Fin dal peccato originale, l’errore primigenio che lui si rimprovera da tempo: l’aver accettato la panchina nerazzurra, convinto dal fascino di Moratti e dal gran nome del club. In quel colloquio di 18 mesi fa, mentre è faccia a faccia con Moratti, Mazzarri ha in tasca il telefonino che vibra senza soste: è Walter Sabatini che lo cerca con urgenza, la Roma lo vuole da settimane ma Walter ora ha davanti l’Inter, il sogno di una vita, e se ne fa sedurre. Anche se in quel colloquio presenta una lista di giocatori e Moratti la mette gentilmente da parte, rovesciando il foglio con un sorriso. Anche se il grande presidente gli dice che mica sono vere quelle chiacchiere sulla cessione all’indonesiano, che non deve preoccuparsi. Invece mesi dopo Thohir rileva il club, anche se ancora una settimana prima delle firme Moratti nega tutto. Inizia il ribaltone e il tecnico si trova di fronte una situazione kafkiana: i nuovi dirigenti e i vecchi in guerra, lui e la squadra in mezzo, si naviga a vista. Poi i nuovi gli chiedono di avallare le loro scelte, che però sono anche quelle di Walter: radere al suolo la vecchia Inter, ripartire da zero. Via il medico sociale e il gruppo storico di argentini. Walter avalla e adesso, ripensandoci, capisce che quella è stata la sua fine, e come ogni fine ha un inizio ben preciso: 10 maggio 2014, Inter-Lazio, penultima di campionato. La sera del primo agguato. Gli argentini sanno che andranno via dall’Inter, il gruppo morattiano percepisce l’ariaccia. Serve una vittoria per centrare l’obiettivo dell’Europa League, ma è anche la sera dell’addio a San Siro di Zanetti giocatore. Mazzarri lascia in panchina il grande capitano e alla lettura delle formazioni arrivano valanghe di fischi. E dire che non c’è neppure la curva, da tempo ostile ai Moratti, perché squalificata. Quello è il segnale, secondo Mazzarri, che la controrivoluzione affila le armi e già colpirebbe di lì a poco, se l’Inter non vincesse, qualificandosi per l’Europa. Ma dalla prima giornata del nuovo campionato, Mazzarri prende sempre fischi. Strano, inquietante. Partono campagne di stampa irridenti, si respira un’aria atroce. Eppure Mazzarri non cerca mediazioni, non va a cena con nessuno, non tende una mano a Zanetti o a Moratti: crede che basti il suo lavoro, non le pubbliche relazioni. Mazzarri pensa che la nottata passi, in effetti ancora martedì mattina gli arriva un messaggio di Thohir che lo sprona ad andare avanti, perché ha visto miglioramenti contro St Etienne e Verona. Invece tre giorni dopo lo esonerano. Ora si reputa vittima di una congiura, di una Restaurazione. Pensa che Thohir sia stato convinto da altri a rimuoverlo, spaventato dall’ambiente che altri avevano creato. Pare che siano questi i pensieri di Walter. Ora vuole solo staccare, godersi il riposo e il lauto stipendio fino a giugno 2016. A un’altra squadra per ora non pensa. Il mondo del calcio lo ha un po’ disgustato. Fra molti mesi deciderà se rimettersi in strada, oppure se è davvero opportuno piantarla qui.

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