Dalla vetta della Seleção alla soluzione disperata, la triste parabola di Rafael
Una muralha sbriciolata, un gioiello che ha smesso di luccicare. Dalla vetta della Seleção all'anonimato, la triste parabola discendente di Rafael Cabral. Affranto e ferito, la cui caduta libera purtroppo è destinata ancora a proseguire. Un incubo senza fine. Perché dopo il grave infortunio di un anno fa e i tanti errori che gli sono costati il Napoli e la nazionale, il brasiliano va dritto verso un altro sviluppo che non avrebbe mai lontanamente immaginato: il ruolo di terzo portiere in azzurro. Una possibilità molto concreta adesso, come confermato dallo stesso entourage. Perché di offerte per l'acquisto a titolo definitivo non ne sono arrivate e le uniche con la formula del prestito non hanno soddisfatto le precise e care richieste della società. Così, a meno di sorprese nelle ultime ore del calciomercato, l'ex Santos alla fine non partirà. Fisso in tribuna in attesa di gennaio, dove gli agenti poi prenderanno in considerazione anche quel campionato brasiliano che inizialmente non era nei programmi.
Un biennio maledetto, che ha virtualmente distrutto quanto di prezioso fatto in precedenza. Il più giovane portiere a vincere la Coppa Libertadores, protagonista assoluto in Brasile e Sudamerica. Si presentava come uno dei più talentuosi portieri della nuova generazione, del resto il club partenopeo lo soffiò a Roma e Inter nell'estate del 2013. Prima i segnali promettenti al suo primo anno napoletano alle spalle di Pepe Reina, poi il crollo. Soprattutto psicologico. Anche Carlos Dunga aveva puntato su di lui, in modo deciso. Il ct della nazionale verdeoro ripartì proprio dall'atleta di Sorocaba dopo le macerie della Coppa del Mondo. Lo convocò sin dal primo raduno, sebbene reduce da un'estate ai box causa la rottura del legamento crociato. In coppia con Jefferson, anziano che gli avrebbe fatto da chioccia per qualche anno. Ma sarebbe stato lui il portiere del futuro nella mente dell'allenatore. Puntualmente convocato, poi l'abbandono. Giustificato, in fondo. Col sogno Coppa America sfumato. E ora la muralha dovrà ripartire da zero, ma non da subito. Prima ulteriori quattro mesi di stop. Soluzione sorprendente e controproducente. Poi anno nuovo e vita nuova, si spera.
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