Cavani e il suo amore per Gesù, quando il gol è religione

22.12.2010
14:23
Redazione

Quando, dopo un gol, corre allargando le braccia come un pastore o un profeta che accoglie Dio nel suo corpo, Edinson Cavani sta testimoniando la sua fede, potente dichiarazione d'amore verso il sovrannaturale che, per usare una metafora di Matisyahu, cantore ebreo dell’hasidic reggae, è un buco nel soffitto. L’uruguaiano ha una faccia di pietra scolpita con gli urti della vita, è un indio sopravissuto allo sterminio. Le sue magliette con su scritto il suo amore per Gesù sembrano muri di periferia, dove qualche mano incerta prova a ricordare a chi passa che sulla croce qualcuno è salito per chi vende panini e per chi spaccia droga. Cavani è un atleta di Cristo, nome un po’ vago che indica la comune appartenenza di personaggi famosi come Kakà o Le Grottaglie a una fede, quella evangelico pentecostale. In passato, a Napoli, anche Alemao ne aveva fatto parte. È un movimento nato nel 1984 da Joao Leite e Baltazar Morais e che ha conosciuto una grande crescita. L’intenzione è far conoscere Cristo, testimoniare la fratellanza umana e la necessità dello Spirito Santo. I pentecostali, infatti, fondano la loro esistenza sull’effusione pneumologica, che si manifesta con la glossolalia secondo quanto viene raccontato in Atti 2 e in 1 Corinzi 14; viene intesa come la capacità estatica di parlare e comprendere, durante la preghiera, la misteriosa lingua dello Spirito Santo. Cavani, con la moglie, si raccoglie a pregare ogni sera, nella villetta a Lucrino, loro eremo flegreo, la Trinità, Gesù, i carismi dello Spirito (I Cor, 12 ss). La fede del giocatore del Napoli non è nei santi, per un pentecostale solo Cristo è Santo, ma nella resurrezione dei morti, giusti e ingiusti, campioni e scarsi, ammoniti e espulsi, e nel Rapimento della Chiesa. Gesù prima della Tribolazione Finale scenderà dal cielo e porterà con sé i rigenerati, cioè gli uomini nuovi, rinnovati dallo Spirito Santo, pronti per la nuova creazione (Colossesi 2, 13). Cavani, come ogni credente, ha il compito di predicare il vangelo, santificare con preghiere, digiuno, lettura e meditazione della Bibbia. A settembre partecipò a piazza Dante a un raduno pentecostale dove, timido e impacciato, invocava la benedizione di Dio sulle vite dei presenti. In estate confessò che era stato il Signore ad avergli suggerito di accettare Napoli, dopo aver sentito un calore dentro, simile a quello che scuote i mistici nei loro rapimenti. Al termine della battaglia contro lo Steaua, dedicò il suo gol a Dio, come fosse una preghiera, un dono, un fioretto, un figlio. Eppure durante le partite è rabbioso, aggressivo, morde la faccia degli avversari, perché sul campo porta la fede, ma anche la sua esagerata umanità. La storia di Cavani inizia quando, da adolescente, ai tempi del Danubio Montevideo, chiacchierava con un amico, fervente pentecostale, della morte, della fede, della vita. Da quell’incontro, oltre a quello avuto con Cesar Gonzalez a Palermo alla ricerca di una squadra, Edinson cambia direzione. Fa sue le parole di Amarildo, discreto calciatore di Fiorentina e Cesena tra gli anni Ottanta e Novanta: «Capii finalmente che Gesú morí sulla croce per redimermi dai miei peccati, che l’amore Suo verso di me fu cosí grande da costringerLo a donare la Sua vita per me». Una rete sbagliata, un passaggio errato, un tiro fallito appartengono ai piccoli destini del pallone, di un piede e di un calciatore, peccati veniali che non interessano né a Dio né a Satana né alle statistiche. «Sono nelle mani del Signore», afferma Cavani, che ha trasformato ogni gol in una preghiera da gridare verso il cielo con i pugni chiusi e il corpo in una forsennata Gerusalemme.

 

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Fonte : Il Mattino
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