De Laurnetiis
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CorrSport - Senza ADL questo scudetto non ci sarebbe, nessuno in Italia ha lasciato un segno netto così dopo Berlusconi

21.05.2025
11:20
Redazione

Il Corriere dello Sport osanna il lavoro di Aurelio De Laurentiis con il Napoli

Napoli - Il Corriere dello Sport osanna il lavoro di Aurelio De Laurentiis con il Napoli:

“Vinci solo tu”. Per anni, per quasi vent’anni, non c’è stata partita del Napoli in cui le curve non lanciassero questo coro. Diretto ad Aurelio De Laurentiis. Il pappone. Il romano. Il titolare della bancarella del torrone (frase che riassume le critiche alle modalità di gestione aziendale). L’uomo accusato da buona parte del tifo di lucrare sugli interessi dei tifosi. Di tenere in ostaggio il Napoli e i loro sentimenti. Venerdì, tra due giorni, l’ex nemico dell’anima verace e populista della tifoseria potrebbe vincere il suo secondo scudetto in tre anni. Impresa mai riuscita a nessun club che non fosse Inter, Milan o Juventus. A meno di non risalire a prima degli anni Cinquanta.

E dire che il calcio italiano ne ha avuti di grandi imprenditori (discussi o meno): Tanzi, Cragnotti, Mantovani, giusto per citarne tre. Al massimo si sono fermati a uno scudetto, Tanzi nemmeno quello. De Laurentiis è sbarcato sul pianeta calcio nel 2004. A stento sapeva come fosse fatto un campo da gioco. Vent’anni dopo, non ci sembra eccessivo affermare che in Italia soltanto Silvio Berlusconi ha avuto un impatto più dirompente di lui sul nostro football. Con una differenza sostanziale: il Cavaliere condusse la sua rivoluzione a suon di soldi, ne aveva più di tutti e sbaragliò la concorrenza con la ricchezza (oltre che con la competenza e la sapienza manageriale). Ma Berlusconi utilizzò il calcio anche per altri fini. Aveva un impero e con quello finanziò il giocattolo Milan.

De Laurentiis ha stravolto il sistema calcio italiano riuscendo laddove tutti avevano fallito: applicare i principi imprenditoriali al pallone. L’obiettivo principale era far girare l’azienda, farla chiudere in attivo. Prima l’equilibrio di bilancio. Poi, se avanza qualcosa, un colpo a effetto. Ma sempre con parsimonia. Oculatezza. Intelligenza, oseremmo dire. I libri contabili prima delle vittorie sul campo. Ha imposto la sua visione non solo agli altri presidenti. Ma al sistema calcio tutto. Per anni, i tifosi si sono accapigliati rivendicando il loro ruolo di sognatori, rifiutandosi sdegnosamente di mettersi a fare i conti della serva tra ammortamenti, plusvalenze e commissioni. “Siamo tifosi o commercialisti?” protestavano. Ora sono diventati tutti tifosi commercialisti. Esultano per un acquisto prospettico o per una cessione particolarmente generosa. È la grande vittoria culturale di Aurelio De Laurentiis. Ha portato tutti a parlare la sua lingua. La lingua dell’economia d’impresa. Della gestione aziendale. «Perché è facile dire “pappo’ cacc’e sorde” quando i soldi non sono i tuoi» disse in una storica performance che ancora si trova su Youtube.  

Il bello è che oggi Aurelio De Laurentiis ha sedotto anche i tifosi del Napoli. Sì, una corrente di detrattori resiste. È difficile quantificarla con precisione ma non crediamo che arrivi al 30%. E ci stiamo tenendo larghi. Inoltre nel corso del tempo, soprattutto dopo la conquista del primo scudetto, sono nate le groupies di Aurelio. Tifosi che lo difendono a spada tratta, che non transigono su alcuna critica. Che lo osannano. «Sono io il vostro Cavani», disse una volta a Dimaro. Ecco, oggi lo pensano in tanti. Tantissimi.  

Sì, giornalisticamente forse quello di venerdì sarebbe lo scudetto di Conte. Ma senza De Laurentiis non ci sarebbe stato niente. Non ci sarebbe stato Conte né Buongiorno. Né McTominay né Lukaku. Nonostante quella cessione di Kvaratskhelia che ancora fa male. E che potrebbe fare malissimo. Ma il punto è che De Laurentiis ha dimostrato di saper rinascere dalle proprie ceneri. Dai propri imperdonabili errori. Anche lui è umano. L’ebbrezza del primo scudetto gli ha fatto perdere la testa. Forse per la prima volta nella sua vita, stava portando l’azienda Napoli a sbattere. Lo hanno salvato il suo fiuto imprenditoriale e il suo essere del tutto a-ideologico. Soprattutto nei momenti delicati ha la straordinaria capacità di prendere sempre la decisione più efficace. E dopo quel disastro, ha avuto l’intuito e il coraggio di capire che solo un uomo avrebbe potuto risollevare rapidamente il Napoli: Antonio Conte. Anche a costo di un prezzo carissimo. Tantissimi soldi innanzitutto. Per lui, per il suo staff e per la campagna acquisti (150 milioni in estate a fronte di 0 in entrata; si è poi rifatto con i 75 di Kvara). E soprattutto il suo silenzio, il suo restare defilato. In disparte. Come se fosse ospite nel suo Napoli. Gli è costato. Tanto. Eppure ha accettato tutto pur di salvare la sua azienda. Azienda, non squadra. E ha vinto. Ha vinto anche se venerdì dovesse andare male.

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