Il grande calcio tra i grattacieli di Doha, città spettacolare dagli standard elevatissimi

21.12.2014
20:30
Redazione

Il Corriere del Mezzogiorno racconta così la città di Doha, che ospiterà domani la sfida di Supercoppa Italiana tra Napoli e Juventus: "Vanta il reddito pro-capite più alto del mondo, e a mia memoria è (Vaticano a parte) l’unico Paese del globo in cui il numero di stranieri residenti supera quello dei nativi. Soprattutto a Doha, che del piccolo Qatar è l’avveniristica capitale dove domani avrà luogo la finale di Supercoppa fra Napoli e Juventus, ampiamente pubblicizzata con maxi-cartelli stradali e sulle portiere dei taxi celesti che sfrecciano da un hotel a cinque stelle all’altro (ma più spesso stanno pazientemente fermi ai semafori: il traffico di Doha non ha nulla da invidiare a quello di megalopoli come Pechino o San Paolo, capitali indiscusse dell’ingorgo). Del resto l’auto è la padrona assoluta della città: tasse zero e benzina a 15 centesimi di euro al litro, trasporti pubblici improbabili, questo è il paradiso dei supersuv e delle fuoriserie dove le strisce pedonali sono praticamente assenti perché la circolazione bipede non è prevista, e se proprio vuoi attraversare chiudi gli occhi e ti affidi ad Allah (i napoletani sono però favoriti dall’esperienza). A piedi si va solo nel suk, tirato a lucido manco fosse un suk svedese. L’altro simbolo di Doha è ovviamente lo skyline, disegnato da grattacieli stretti gli uni agli altri e che gareggiano non solo in altezza ma in originalità, espressione verticale dal potere ctonio che viene dalle viscere del deserto: affidati spesso ad archistar internazionali, essi mimano corpi di donne velate, vasi di fiori, arditi giochi d’equilibrio. A sera si accendono di mille luci, e lo sfolgorio di led e colori fa concorrenza alle follie cromatiche di Hong Kong. La lunghissima Corniche che costeggia l’azzurro del Golfo Persico è punteggiata di cantieri, segno che Doha ha appena iniziato a stupire il visitatore. I tassisti (tutti filippini, pachistani, indiani o nepalesi: i locali possono permettersi di snobbare i lavori manuali e quelli più duri in genere) osservano, e scuotono la testa. Si ricordano di quando a Doha c’era un solo grande albergo, lo Sheraton, e tutto il resto era sabbia. Poi un po’ più in là, in un deserto in miniatura, sgorgò il petrolio, e con l’indipendenza la storia dell’ex piccolo protettorato britannico mutò di colpo. Oggi è un Paese dagli standard elevatissimi che non hanno però travolto le tradizioni e le regole musulmane: lo governa un emiro, monarca graziosamente costituzionale (col suo aeroporto privato molto più bello di quello pubblico), gli affari e gli sceicchi prosperano, le donne restano integralmente o parzialmente velate, i cammelli da corsa non sono più guidati da beduini ma hanno in groppa robottini che li frustano, criminalità è in apparenza parola ignota, e i cantieri per i futuri campionati del mondo, ignari delle polemiche mazzettare scoppiate in Occidente, vanno a tutta birra (un modo di dire, perché qui l’Islam tollera alcol e derivati solo per i non musulmani: però nei grandi alberghi un bicchiere di vodka è trasparente come uno colmo d’acqua anche se a tenerlo in mano è un qatariota, giusto?). Stadi e accessori vanno veloci e sfacciati, al punto che le troppe morti di operai (tutti immigrati) hanno spinto il governo a varare in fretta una legge che limitasse almeno formalmente la strage in corso. Alla fine gli impianti sportivi saranno anche belli: ma nulla di fronte alla meraviglia del Museum of Islamic Art, immaginato su un’isoletta dal sino-americano Pei (lo stesso della piramide del Louvre) come un’armonica contrapposizione di parallelepipedi. Scrigno di bellezza contemporanea che custodisce un patrimonio di secoli, il Mia restituisce integra all’Islam la grandezza di una cultura che il fondamentalismo odierno calpesta. Se poi oltre all’anima volete nutrire anche il corpo salite all’ultimo piano, dove lo chef più stellato del mondo, Alain Ducasse, due anni fa ha aperto il ristorante «Idam» (per ulteriori dettagli gastronomici chiedere al Critico Maccheronico, con cui ho appena cenato lì). 

Fonte : Corriere del Mezzogiorno
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