Il Roma - Da Kenzo Tange a Dominique Perrault e Benitez: a Napoli l'europeizzazione non funziona mai. Ora ci si 'empolizza'
Siamo scomparsi dagli schermi, non abbiamo più spazio sulle prime pagine dei giornali sportivi, siamo esclusi dai titoli dei notiziari, restiamo confinati nelle notizie brevi ed etichettati nelle rubriche umoristiche come empolizzati. L’empolizzazione del Napoli. Ecco il tema del nuovo sarcasmo. Dove non è riuscito il Vesuvio a lavarci col fuoco, Empoli è riuscita a spedirci nell’inferno dei barattieri, ottavo cerchio, avendo barattato l’europeizzazione del Napoli con la sua italianizzazione. Illustri filosofi del pallone napoletano, cronisti del pensiero azzurro, scrittori di veglia sempre all’erta, niccolòmachiavelli dislocati a Castelvolturno, girolamisavonarola dello spogliatoio, sofisti della palla è rotonda vanno strappandosi le vesti e le idee coerentemente eretti sulle barricate, ieri contro l’europeizzazione di Benitez, oggi contro il suo contrario. Non c’è pace oltre gli ulivi. Lo smarrimento e le viscerali proteste per il ridimensionamento del Napoli da parte di quanti ne avevano ugualmente criticato “a bile spiegata” il tentativo di un volo più alto fanno sorridere in una città che è empolizzata da tempo, ma la cui empolizzazione non ha trovato paladini altrettanto sdegnati e dolenti, lottatori vigorosi, tribuni della plebe e della borghesia che, invece, nel calcio esplodono ire funeste e infiniti lutti. Una città che ha piegato la testa, mal governata e peggio amministrata, derisa, oltraggiata, confinata alla periferia di ogni attenzione e solidarietà, trattata per la sola cronaca nera e maltrattata per tutto il resto non può che empolizzarsi anche nel calcio. Con i conti da far quadrare non si fa Bagnoli, non si rilancia Napoli est, non si rattoppano le buche cittadine, si lasciano crollare i palazzi e l’acqua invadere la metropolitana. I conti da far quadrare nel Napoli per evitare la vergogna di un nuovo fallimento (che la città, inerte, senza coraggio e senza risorse, rimase a guardare fino all’arrivo del solito salvatore della patria) non consentono di fare la squadra da scudetto. I nostri limiti, prima ancora di quelli di De Laurentiis, non lo permettono. L’empolizzazione è scontata per la città e per il Napoli. Anche la matematica azzurra non è un’opinione, i conti devono tornare.
Nello stesso tempo, l’europeizzazione giapponese del Centro direzionale è un ghetto di brutti grattacieli e l’europeizzazione francese di Piazza Garibaldi si risolve in una orripilante struttura in vetro e tubi. Da Kenzo Tange a Dominique Perrault e a Rafa Benitez l’europeizzazione a Napoli non è mai un successo. L’empolizzazione non è un ripiego, è la realtà. Se legittimi sono i sogni dei tifosi che però non valgono più nulla allo stadio, mentre furono la ricchezza del Napoli di Maradona, oggi i diritti televisivi rappresentando la più risolutiva fonte di sostentamento delle società di calcio, ridicolo è che siano anche alcuni campioni che hanno fallito l’essenziale per “coprire” una stagione deludente, mancando quei due, tre successi che avrebbero riportato il Napoli in Champions e giocata la finale di Varsavia, è ridicolo che questi campioni pretendano anch’essi un Napoli grande squadra per restare tra noi a deliziarci fra pancette pronunciate e scarsa voglia di metterci l’anima. In queste condizioni come non empolizzarsi? Dove sono le risorse (esaurite le plusvalenze di Lavezzi e Cavani) per gridare a De Laurentiis “caccia i soldi”? I soldi non ci sono e oggi il calcio sono soprattutto i soldi, accompagnati da competenza e fortuna, da organizzazione e tenacia, virtù rare negli emisferi meridionali quanto e più del denaro. Cacciamo De Laurentiis, se fosse possibile, dopo che la città non fu capace di salvare il Napoli per soli sei milioni di euro? Facciamo la rivoluzione azzurra e con chi? Dove sono gli imprenditori napoletani che abbiano coraggio e passione e amino le sfide e il rischio? Se ci sono, si nascondono. E, allora, avanti De Laurentiis. E avanti de Magistris. Non sembrano esserci alternative. Questa è Napoli, questo è il Napoli. Senza risorse e senza alternative siamo una città morta e il calcio ne è l’inevitabile riflesso. Però ci piace criticare, accusare, dividerci in fazioni. E’ l’unico segno della nostra vitalità. Rosicatori a vita per tenere la scena. Ieri contro Benitez (con tutti i suoi torti, certo), oggi con lo scetticismo, il disprezzo e la condanna della svolta con Sarri. Perché questo è l’unico sport che ci piace. Fare da isteriche cassandre e puntare a che tutto vada male per poter dire l’avevamo previsto. Magra consolazione mentre così uccidiamo noi stessi e Napoli. Il calcio è un gioco. A Napoli è un gioco al massacro da sempre. Per partigianeria, pregiudizi, antipatie e guerre di scarsa religione. Sapientoni e piripacchi. Aveva ragione Rosetta. Una città di qualunquisti che hanno un unico sfogo, il calcio. Dove il qualunquismo impera più del fuorigioco.