Da Torino punzecchiano: "E' la stagione dei rigori, ma c'è chi si rifiuta con delle scuse: vedi Napoli..."

20.10.2017
10:10
Redazione

Vi proponiamo di seguito l'editoriale del collega Marco Tardella per La Stampa

Si assiste a una stagione dove i calci di rigore diventano importanti, nel bene e nel male. Attimi carichi di tensione e speranza, un momento individuale all’interno di un gioco collettivo. C’è un testimone indiscusso: il dischetto. A lui voglio scrivere questa settimana. Caro dischetto, ti ricordi la canzone di De Gregori? «Nino non avere paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore... Ma dal coraggio e la fantasia». È un attimo, un concentrato di potere, un momento di gloria o amara sconfitta. A undici metri dalla porta tutto sembra facile, scontato, quasi infantile, persino il portiere inutile. E allora perché davanti a quel dischetto si è pervasi da emozioni e paure? C’è chi addirittura con delle scuse si rifiuta di calciare, perché da quel tiro spesso dipende l’esito della gara. Vedi Manchester City-Napoli (Mertens) o Juventus-Lazio (Dybala), rigori parati o sbagliati, finale cambiato. È in quell’attimo che si scatena la tempesta di sentimenti contrastanti. Facile? Difficile? Che finta fare? Quale direzione dare alla palla? Come intimidire il portiere? Il gioco di sguardi: guardo a destra, tiro a sinistra o viceversa? Calcio da fermo o in corsa? Ci sono mille variabili da valutare e scegliere in una frazione di secondo, mettendo in gioco come in una scommessa il tutto per tutto. La propria classe, la credibilità di campione, il risultato. Per lo spettatore è il momento che nella corrida corrisponde al matador che infilza il toro e l’uccide, ma se sbaglia rischia di essere incornato. Chi fallisce dal dischetto ha come un’onda di reazioni negative e positive. Cerchi comprensione, gli sguardi dei compagni e dell’allenatore, incontri il fragore o il silenzio ammutolito degli spalti o l’esultanza degli avversari, la gioia o la sofferenza. Un rigore sprecato lascia un segno indelebile nella carriera e nella vita a seconda del risultato e dell’importanza della gara. Può generare gloria o incidere come una cicatrice. Di questi momenti ne ricordo tanti. Cabrini, finale Mondiale ’82, tira fuori rischiando di compromettere la partita. Baggio e Baresi sbagliarono i rigori nella finale ’94 contro il Brasile, Di Biagio al Mondiale ’98 in Francia. Esempi di refusi incancellabili e dolorosi. C’è di peggio quando si sconfina nel ridicolo, due, tre rigori sbagliati nella stessa partita dallo stesso giocatore. Voglio citarne uno su tutti. Martin Palermo, argentino, durante una partita di Coppa America del ’99 riuscì a sbagliarne tre di seguito ed ancora ne piange. P.S. In ogni caso chi affronta l’attimo del dischetto va ammirato, perché là da solo di fronte alla porta ci vuole coraggio.

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