Quell'ironia tipica di Pesaola: "Dovevo morire lo stesso giorno di Bulgarelli: ma i giornali avrebbero scritto solo di lui..."

30.05.2015
15:40
Redazione

Mimmo Carratelli, l’amico di sempre, gli è rimasto accanto fino alla fine, in una stanza del Fatebenefratelli. Qui, riposrtiamo alcune righe scritte oggi su Repubblica dallo stesso Carratelli nel ricordo di Bruno Pesaola.

 Una crisi cardiaca, dopo anni di sofferenze per il fumo e altri inciampi, l’ha stroncato al Fatebenefratelli. Eravamo i suoi alunni della luna, perché per anni il petisso ci ha tenuto lezioni notturne di calcio. Bruno Pesaola era un uomo della notte, la favola del calcio e il whisky, le sigarette, una dietro l’altra. Un cantastorie del pallone, ma ben dopo il tramonto per tirare tardi perché tardi gli arrivava il sonno.

«Ho avuto una bella vita — diceva in questi ultimi anni — ma ora la sto pagando troppo». Continue le corse in ospedale, gli acciacchi, le crisi respiratorie. «Vado in ospedale, mi fanno mille analisi e mi dicono che è tutto okay, ho un cuore forte, dei polmoni parlano poco, ma, accidenti: se sono sano perché devo andare sempre in ospedale? Torno a casa e, poi, di nuovo in ospedale. Sono tutti matti, e sto diventando matto anch’io».

Faceva le sue eterne battute, ma negli ultimi tempi con minore convinzione. Cominciava ad essere stufo di stare su una sedia ad aspettare. «Lassù non mi vuole nessuno, ho visto due volte la porta nera, non s’è mai aperta, mi hanno rimandato in via Manzoni. Dovevo morire il giorno che morì Bulgarelli. Meno male che non successe perché i giornali avrebbero dedicate pagine e pagine a Giacomo e a me poche righe». 

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