Strinic ammaliato dall'azzurro: è rimasto colpito anche dal centro sportivo. Indosserà la numero 3. Un retroscena sul suo passaggio alla Dinamo Mosca...

03.01.2015
09:50
Redazione

Strinic, come riporta l'edizione odirna del Corriere dello Sport, si è sciolto in un abbraccio bollente. Mai avrebbe immaginato di allenarsi davanti a 25mila persone. Ha provato a calcolarle, s’è perso ed è andato oltre. Ha esagerato. "Su Twitter ha scritto 40mila per un allenamento, applausi!". E’ l’effetto che conta. Sempre. E lui ce lo mette perciò anche nei cross: tagliati, precisi, giusti. Li ha provati al San Paolo per mezza mattinata. Benitez, osservava. Il mancino è garbato. Come il ragazzo, del resto. Gentile nei modi. Educato. Con l’aria chi vuole conoscere ma anche farsi conoscere. Umanamente. Napoli lo ha già ammaliato. Era rimasto impressionato già dal centro sportivo. Il primo giorno. S’era svegliato col sole che picchiava sui campi e l’odore del mare che gli entrava in stanza. E allora colazione, una chiamata a casa e via con una t-shirt e un giubbino che gli umani metterebbero a Primavera. Ma lui è tonico, temprato. Con un sorriso che è gioia. Chioma bionda e fisico asciutto. Sano. Ha soltanto bisogno di allenarsi. Lavorare. Ritrovare la condizione perduta. Una decina di giorni e sarà pronto. Per la Juve, forse. La botta al costato presa nella sfida con lo Shakhtar, l’ha smaltita lentamente, coi tempi tipici di chi ha il contratto in scadenza e nelle ultime settimane può anche guarire con calma. Sapeva sarebbe andato via. S’era promesso al Napoli. E la maglia numero 3, adesso è sua. Quella classica del terzino sinistro. Come le sue caratteristiche. Le visite mediche uno screening totale: ha resistenza, fiato e potenza. Per la tecnica, dirà poi Benitez. L’aveva raccomandato Edy Reja quattro anni fa. L’aveva allenato all’Hajduk di Spalato. Ne aveva percepito le potenzialità. E infatti è nazionale croato. Il Napoli l’ha preso a zero. Quattro anni di contratto. Botti di fine anno e di mercato. Poteva andare alla Dinamo Mosca. Ma pure lì c’era il gelo. 

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