Dai mastodontici telefoni della SIP agli improbabili conoscitori, il calcio come pretesto della fiera del nulla

30.03.2015
17:00
Redazione

C’era una volta La Domenica Sportiva con Adriano De Zan prima e Tito Stagno e Gianni Brera poi. C’era una volta 90° minuto e Paolo Valenti e una serie di inviati pittoreschi chiusi nelle loro giacche a quadri. Avevano i basettoni e degli improponibili baffoni. Avevano delle cuffie enormi e pesantissimi microfoni. Da postazioni di fortuna raccontavano al popolo le gesta domenicali degli eroi della pedata. Le riprese erano quelle che erano, ma potevi quasi sentire l’odore dell’erba e del cuoio. La grafica era scarna e le sigle delle orecchiabili musichette. E in studio, dei mastodontici telefoni della SIP facevano bella mostra su di spartane scrivanie dal designer semplice come il pallone di una volta. C’erano una volta garbo e competenza e c’era l’attesa spasmodica di poter vedere quelle immagini. C’era una volta un gioco chiamato pallone e non un industria chiamata calcio.

Oggi ci sono centinaia di trasmissioni televisive in onda da studi pieni di luci e colori. Immensi e comodi divani accolgono signorine scosciate e improbabili conoscitori della materia calcio. Tutti ridono e tutti fanno finta di litigare. Tutti parlano e nessuno dice nulla. Le immagini corrono veloci. L’odore dell’erba non si sente più. E neanche quello del cuoio. E il gioco del calcio è solo il pretesto per dar vita a questi inutili e insopportabili salotti televisivi dove si consuma ogni volta la fiera del nulla.

Stefano Napolitano

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