"Non un passo indietro!"

19.03.2018
17:00
Antonio Anacleria

“I popoli del nostro Paese, che considerano l'Esercito Rosso con amore e rispetto, stanno iniziando ora ad essere delusi da esso.  Alcune

“I popoli del nostro Paese, che considerano l'Esercito Rosso con amore e rispetto, stanno iniziando ora ad essere delusi da esso.  Alcune persone poco saggie confortano loro stesse con l'argomentazione che possiamo continuare la ritirata (...). In tutte le circostanze estirpare decisivamente nelle truppe l'attitudine alla ritirata e con mano ferrea prevenire la propaganda che afferma che possiamo e dovremmo continuare a ritirarci verso est, e che questa ritirata non sarà per noi dannosa (…). E’ tempo di smettere di ritirarsi. Non un passo indietro! Questo dovrà essere il nostro motto d'ora in poi”.

Uno stralcio del decreto, il numero 227, varato da Josif Stalin il 28 luglio 1942, passato alla storia col nome di “Ni Shagu Nazad!”, ovvero “Non un passo indietro!”. L’Unione Sovietica stava perdendo la guerra, la Germania nazista dominava e non dava segni di cedimento. La svastica svettava sulle capitali d’Euorpa ed il Terzo Reich, straripante, mirava ora ad ampliare il proprio lebensraum a tutta l’URSS, lasciando le briciole all’Impero Giapponese. A cambiare le sorti della battaglia e a riscrivere la storia, così come la conosciamo, sono stati gli uomini, spesso ragazzi, che hanno combattuto a Stalingrado. L’imponente  6a armata, la punta di diamante della Wehrmacht, gli invincibili di Paulus, incontra una resistenza che non ha pari nella storia. L’Armata Rossa combatte per ogni centimetro davanti e dietro di sé,  vincendo un nuovo tipo di scontro bellico passato alla storia come rattenkrieg, la guerra dei topi, a cui i tedeschi non erano abituati, soliti alla blitzkrieg, guerra lampo. Fu l’inizio della fine per l’Asse: il 2 maggio 1945 l’Armata Rossa alzerà la bandiera sovietica sopra il Reichstag di Berlino.

La Juventus ha pareggiato con la SPAL, il Napoli ha vinto contro il Genoa. Gli azzurri sono a -2 dai bianconeri, che a Ferrara si sono dimostrati battibili, almeno saltuariamente. Ora tutti devono crederci, anche più di prima. La truppa azzurra può portare lo scudetto a Napoli, soprattutto se guidata da Sarri, che, tra le altre cose, anela per sua stessa ammissione di creare un partito politico e ritiene democristiano un aggettivo dispregiativo. La Juventus non è di certo la Germania nazista, Sarri non è Stalin e questa non è una guerra combattuta col ferro e col sangue, ma un sogno sportivo e sociale per cui si versano lacrime. Un’impresa che resterà nelle menti di tutti, ma che di certo non ha nulla a che fare, fortunatamente, con la Seconda Guerra Mondiale. Ma in tempi di relativa pace, perché in pace non siamo, lo sport diventa un campo di battaglia. Ma, volendo continuare il paragone bellico, a Ferrara si è fermata l'Operazione Barbarossa, il giorno dopo, dal San Paolo è partita l'Operazione Urano. L'obiettivo, ovviamente, non è Berlino ma Torino.  E allora, forse, anche Maurizio Sarri, guardando i suoi uomini negli occhi ed indicando il campo, immerso in una folla febbricitante e bulimica di vittoria, prima del match contro il Genoa, pensando a quella classifica, all’obiettivo e alle pagine si storia ancora tutte da scrivere, avrà urlato: “Non un passo indietro!”

di Antonio Anacleria - Twitter: @NinoAnacleria

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