Campilongo a CN24: "Fui ad un passo dal Napoli. Ferri mi chiamò terrone, ma io gli diedi del cornuto! Quando la D'Urso ci vide nudi negli spogliatoi..."
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Salvatore Campilongo, ex calciatore ed allenatore dell’Empoli, è intervenuto ai microfoni di CalcioNapoli24 in vista della sfida di domenica alle 12.30 raccontando molti particolari della sua carriera
Partendo dalle differenze che accomunano ad esempio società come Empoli e Napoli...
L'Empoli è una società organizzatissima, che lavora moltissimo sui giovani. Hanno un settore giovanile strutturato, riescono a trovare i migliori in Italia ed all’estero. Il centro di Monte Boro è all’avanguardia, merito al presidente Corsi e Carli. Cosa ben diversa dal Napoli, il club partenopeo non ha strutture. Bisogna averne alle proprie spalle per sostenere certe cose. Faccio due nomi di società: Empoli ed Atalanta, sotto questo punto di vista le migliori.
Uno scouting dell’SSC Napoli solo su territorio campano potrebbe rappresentare un buon punto di partenza?
Purtroppo il problema parte da una fattispecie economico. Quando si vuole prendere un giovane calciatore, come è successo con Donnarumma, ti chiedono 50mila euro. Ma il Napoli non li pagherà mai quei soldi per un giovane… Altre invece sono disposte a farlo. De Laurentiis è più convinto di prendere un giocatore ad un paio di milioni di euro e poi venderlo a 30 o 40.
E’ un gap importante questo?
Sicuramente, e anche di grosso spessore. Lavorare con il settore giovanile rappresenta un patrimonio per la società. Ci sono ovviamente anche dei costi da sostenere, far studiare i ragazzi ad esempio. L’Empoli ha sempre avuto una sua persona di fiducia in Campania, Lorenzo D'Amato, tra le cui mani sono passati i vari Lodi, Di Natale.
Che tipo di giocatore è Tonelli?
Molto forte in marcatura, ma poco adatto al gioco di Sarri specialmente nell'impostazione da dietro. Mi ricordo sia di lui che di Hysaj quando giocavano nelle giovanili. Il padre di Elseid faceva il muratore ad Empoli. Credo che adesso non lo faccia più (ride ndr).
E’ mai stato vicino al Napoli?
Vicinissimo, nel ’92. Feci 15 gol con la Casertana. Era tutto fatto, poi per questioni sia economiche che brucratiche saltò tutto. Giorgio Perinetti mi seguì per tutto il campionato, all’epoca l’allenatore del Napoli era Claudio Ranieri. La Casertana chiese 2.5 miliardi. Ferrante sarebbe dovuto andare in prestito e infatti Ranieri lo incontrai alla Villa del Sole e mi disse: "Sasa vedi che l’anno prossimo sicuramente sei dei nostri. La trattativa è a buon punto". Ci rimasi malissimo. Io sono nato a due passi dal San Paolo, praticamente sotto gli spogliatoi.
Il giocatore che più ha amato da compagno di squadra?
Ravanelli e Benny Carbone. Due grandi per me. Sono rimasto molto legato anche a Gianluca Petrachi, dirigente del Torino.
L’avversario più cattivo dal punto di vista sportivo?
Riccardo Ferri. Ci fu anche una discussione al San Paolo, giocavamo lì perché a Caserta il campo era in ristrutturazione. Era una partita contro l’Inter, ci fu una discussione anche con Bergomi. Pareggiammo, lui mi fece un’entrataccia da dietro a centrocampo. Io gli dissi: "Ma che ca**o fai? Mi fai male!". Lui mi rispose apostrofandomi così: "Terrone! Ti porto a fare il giardiniere a casa mia!". E io gli dissi che era come San Martino, il patrono dei cornuti. Lui venne anche squalificato in Nazionale. Facemmo pace dopo un anno.
Come si cambia quando si passa dall’essere giocatore ad allenatore?
Da giocatore si sta da soli. Dovevo solo stare bene fisicamente, poi in campo mi sentivo importante. Ma da allenatore non dipendi solo da te. Il tuo scopo è lavorare h24. Appena hai finito un allenamento pensi subito a quello di dopo. Devi essere anche psicologo, padre.
L’episodio che ricorda con più dispiacere?
La retrocessione con la Casertana. Perdemmo lo spareggio con il Taranto, è una ferita che non si è ancora rimarginata. Se ho pianto per il calcio? Hai voglia. Quella volta assolutamente. Feci 15 gol e non ci salvammo.
Gli inizi della sua carriera?
Nato calcisticamente nel Napoli. Ci allenavamo al campo dei vigili del fuoco a via Diocleziano, dove c’è adesso l’Edenlandia. Poi quando dovevo passare alla categoria giovanissimi fui scartato perchè ero troppo piccolo, e invece sono cresciuto bene! (ride ndr).
L’episodio che racconta con più piacere?
I tre gol alla Juve in coppa Italia. E’ stata la gioia più grande. Io sono nato a Fuorigrotta, ne feci uno all’andata e tre al ritorno. Mi chiamò Trapattoni e mi fece i complimenti. Poi giocavo contro Baggio e lo eliminai...
Il giocatore che l’ha picchiata di più in campo?
Un certo Fontana dell’Ancona. Un fabbro. Amico mio, ma un fabbro. Un altro che adesso fa il secondo di Gigi De Canio, è Orlando. Lui faceva le strisce a terra, da lì non si passava. Loro menavano, ma io ricambiavo con gomitate. Gli facevo saltare i denti, mai avuto paura. I miei avversari dicevano sempre ai loro difensori: "O ma vi fate sempre menare da Sasà!". Oggi gli attaccanti sono tutti un po’ signorine. Al nostro calcio per avere un rigore bisognava subire entrate da galera.
L’episodio più divertente?
Nel 1990 Barbara D’Urso lavora per King, un giornale. Il fratello ed un’altra ragazza facevano i fotografi. La moglie del presidente Cuccaro era molto amica della D’Urso. E quest’ultima venne a fare un servizio giornalistico e fotografico a noi giocatori negli spogliatoi nudi, con le sole scarpette davanti alle zone intime. Fu la prima volta in cui una donna entrò in uno spogliatoio di calcio.
Il più grande dispiacere?
La morte di Catello Mari all’epoca della Cavese. Perdere un ragazzo così è stato una botta tremenda. Siamo passati dalla gioia di aver vinto un campionato e la sera stessa c’è stato l’incidente di Catello. Fu una tragedia assurda. Noi finimmo di giocare alle 17, poi fino alle 20 rimanemmo al campo. Dopo andai in una trasmissione perché l’avevo promesso a due giornalisti. Se ci fossi stato io con i ragazzi quella tragedia non sarebbe successa. Sono rimasto molto legato al padre. La cosa più difficile fu giocare per un altro mese e mezzo per finire il campionato...