Padalino: "La verità su 'Zemanlandia' e quel no alla Juve. Batistuta? Un leader, ma dimenticava sempre il portafoglio. Il gol al Napoli, Edmundo e 'L'Allenatore Ultrà...'" [ESCLUSIVA VIDEO]
Pasquale Padalino, ex della Fiorentina, ai microfoni di CalcioNapoli24 sulla gara di domenica
Napoli Calcio - Oggi allenatore della Juve Stabia, in passato fortissimo calciatore, difensore di vecchio stampo con una forza fisica straripante senza disdegnare la tecnica. Allenato da Zeman al Foggia, da Trappatoni ma anche da Malesani, Pasquale Padalino ha giocato a grandi livelli, protagonista di 'Zemanlandia', compagno di squadra anche di Batistuta, Rui Costa, Signori, Mancini, Adriano, Edmundo, Javier Zanetti e molti altri. Un dispiacere al Napoli l'ha dato nel 1991/92 con la maglia del Foggia. La sua Juve Stabia, che gioca con il 4-3-3, ha raggiunto un equilibrio tale da consentirgli di avere la miglior difesa della Campania per media gol subiti, superiore, in questa statistica anche al Napoli. Queste le sue parole a CalcioNapoli24:
Padalino
L'approdo nel calcio professionistico col Foggia nell'era di Zemanlandia. Il boemo subito decide in un cambio di ruolo: passasti da centrocampista a difensore
“In parte è così, nasco come mezzala poi per alcune caratteristiche che, all'epoca, non erano adatte all'idea di calcio, fui trasferito in difesa anche se mi veniva riconosciuta una qualità nella lettura delle azioni importante. Un qualcosa che non mi è dispiaciuto, devo essere sincero, anche se mi fa piacere ricordare che approdo con Caramanno nel calcio professionistico".
Signori, Rambaudi, Padalino ma anche Francesco Mancini: che ricordi hai di lui?
“Ricordo tutti in maniera straordinaria. Possiamo dire, con franchezza, che, il Foggia, era una mosca bianca in serie A: una squadra dinamica con idee innovative. Tutti ricordano il trio d'attacco che faceva tanti gol. Personalmente ricordo con molto piacere Franco Mancini che interpretava al meglio il proprio ruolo con ottime qualità anche fuori dal campo. Condividevamo molto anche lontano dal campo di gioco e la sua scoparsa è un vuoto che, ancora oggi quando ci penso, faccio fatica ad accettare. Un ragazzo eccezionale in campo e fuori".
Padalino-Foggia
Gradoni, corsa, mai fermi, 4-3-3, l'impostazione di gioco della squadra, rapida e basata sull'attacco: il calcio di Zeman per chi è protagonista in campo, com'è? E da allenatore ti condiziona nelle idee di calcio?
“Quel calcio, in quel momento storico, era un qualcosa di completamente nuovo rispetto ad una mentalità che ancora oggi riscopriamo. C'erano corsa e spregiudicatezza, cosa che ci ha premiati: ci siamo ritagliati uno spazio nel calcio italiano e non solo, con apprezzamenti per una squadra che ancora oggi viene ricordata. Oggi il 4-3-3 è cambiato per innovazione dei tecnici, adattamenti e contromisure adottate che a lungo sono state studiate: si cerca il palleggio, rispetto alle palle verticali ma è stato come fare un passo indietro in questi anni. L'abilità deve essere quella di fare quelle giocate durante le gare, nella loro totalità, nella loro anche complessità. Sono sincero, non mi condiziona, sono al passo con i tempi ma so anche che mi ha insegnato molto. So cosa significa per i difensori quel modo di giocare, visto che ci sono passato in prima persona, rispetto alla linea mediana e all'attacco. Per i difensori era sempre dura, ma non ho condizionamenti, lo testimoniano i fatti, visto che le mie squadre mettono in risalto numeri di una difesa ermetica, che va in controtendenza con ciò che feci con Zeman".
Stagione 1991/92, 31esima giornata, era Foggia-Napoli e finì 1-0 allo Zaccheria, in gol Padalino: un dispiacere agli azzurri lo hai dato...
"Più che un dispiacere al Napoli, ho dato una soddisfazione al Foggia per il mio unico gol contro un portiere forte come Galli. C'erano De Napoli, Careca e tanti altri: un ricordo che mi porterò dentro per sempre. Per un foggiano fare gol nella propria città, l'unico tra l'altro, contro una grande squadra, è un ricordo bellissimo, indelebile che resterà sempre dentro di me".
Sei stato tecnicamente ineccepibile, fisicamente prestante, forte... fortissimo di testa, oltre ad essere ironico, dissacrante e pacioso: questa la tua forza?
“Sono uno che si adatta molto e so capire chi ho difronte. Sono molto disponibile, magari all'impatto sembro sulle mie, ma mi piace avere contezza del mio interlocutore. Sono aperto, mi piace farmi conoscere in fretta, per instaurare rapporti veritieri. Annullare o ridurre quelle barriere che possono allungare il processo di conoscenza è una cosa che faccio spesso. Sto, però, anche attento che dall'altro lato non ci siano colpi bassi. Preferisco allontanare piuttosto che essere finto: una forza, magari da giovane ero più chiuso, che col tempo, si, mi ha reso un pacione".
Padalino-Figo
Dal 1995 al 2000 nella Fiorentina, forse la più bella Fiorentina con Batistuta e Rui Costa tuoi compagni di squadra su tutti. Me lo racconti un aneddoto che vi riguarda?
“Ci legava l'amicizia con Batistuta, Rui Costa ma anche Bigica che è di Bari e che sento ancora spesso, tra l'altro è stato anche ex calciatore del Napoli. Avevamo un rapporto stretto, intimo e fraterno: in un gruppo ci sono conoscenze approfondite, che restano anche quando la carriera ti divide, nonostante la mancanza di contatti assiduo. Un aneddoto? Batistuta dimenticava sempre il portafoglio a casa: per un cambio di pantaloni o dimenticanza, aveva sempre una scusa per non pagare il caffè. Era un ragazzo generoso, scherzavamo molto su questo aspetto aspetto, ma resta un vero leader: forte per se stesso e per tutti noi, come anche Rui Costa".
Com'era marcare Batistuta in allenamento? Ed Edmundo? Dopo l'infortunio di Bastistuta, il brasiliano decise di partire lo stesso per il Carnevale, come vi siete sentiti?
"Batistuta da marcare non era semplicissimo, non perchè lo perdevi, ma era bravo e devastante se ti correva alle spalle, nello spazio, e riceveva al momento giusto la palla. Non era molto dinamico ma si coordinava in poco tempo, calciava in maniera strepitosa di destro, annusava e vedeva la porta anche quando non la guardava. Caratteristiche che differenziano un giocatore normale da un fuoriclasse. Ci ho giocato, per fortuna, insieme per 5 anni e mai da avversario. Mi ha regalato tante soddisfazioni, valore aggiunto per tutti. Edmundo, invece, tra i più forti in assoluto con il quale mi sono allenato al pari di Ronaldo, Recoba, Zanetti, Batistuta, Vieri e Rui Costa. Il brasiliano aveva una mentalità calcistica diversa dalla nostra negli allenamenti, più vicina a quella del suo paese. Quando avevamo una partita serale la domenica, avevamo l'abitudine di fare risveglio muscolare, cosa che tutti fanno, ma che lui non condivideva sempre. Una mentalità che noi non conoscevamo, questa cosa non veniva accettata volentieri, ma faceva la differenza in campo con grosse qualità tecniche e umane: spassoso, di gruppo, ma con convizioni che lo allontavano dalle idee comuni. Lo ricordo con piacere, mi ha lasciato il segno, con la palla in movimento, tra i piedi, il più forte in assoluto".
Stagione '97-'98, la prima di Malesani finì 3-2 con l'Udinese: corse sotto la curva a festeggiare la vittoria, fu definito L'Allenatore Ultrà...
“Malesani rappresentava il personaggio normale da curva all'interno dello spogliatoio. Mescolava il tutto e non ti faceva sentire la differenza che c'era tra il ruolo che che ricopriva e il calciatore. Anche col pubblico si ritagliava uno spazio che, nella normalità di chi fa questo lavoro, non sempre era condivisa. Aveva una visione più aziendale, aveva avuto la fortuna di gestire nel mondo lavorativo tante persone e questo l'ha un po' allontanato perchè aveva sempre una richiesta molto alta rispetto al mondo del calcio nel quale devi essere, spesso, un buon gestore. Poco si ritrovava in alcune situazioni, faceva fatica e nascevano incomprensioni che lo condizionavano. Era bravo come allenatore, i numeri parlavano per lui ma era molto esigente con se stesso e con gli altri".
All'Inter, invece, cosa non ha funzionato a livello personale?
“Non me la posso prendere con nessuno, neanche con me stesso: tutto è dipeso da un infortunio grave che mi ha tenuto fuori per più di sei mesi e che è accaduto in una gara di coppa Italia contro l'Udinese. Un qualcosa che mi fa ancora arrabbiare, Roberto Muzzi, vistosi anticipato, mi spostò ovviamente senza cattiveria e io, nell'appoggiare il piede, non trovai più l'appoggio, cosa che mi procurò una sublussazione del ginocchio che mi tenne lontano dai campi per tanto tempo, in una stagione che vide l'Inter perdere lo scudetto perchè strappatogli all'ultimo. Esperienza che resta comunque incredibile con Moratti, Oriali e Facchetti: defilata, vero, ma con grandi campioni come Cordoba, Materazzi, e altri. Sarei potuto andare all'Inter all'epoca di Pellegrini: lo incontrai in un ristorante di Milano e mi disse 'mi avrebbe fatto piacere averla nella mia squadra ma purtroppo il suo presidente (Casillo, ndr), fece una richiesta eccessiva per un ragazzo di 17 anni'. Ci arrivai in ritardo ma ho avuto emozioni indescrivibili allo stesso modo".
Il passaggio mancato alla Juventus, perchè la decisione di rifiutare quel trasferimento?
“All'epoca quando eravamo ragazzi, ero tra i calciatori seguiti e sotto osservazione: mi venne detto che anche la Juventus mi seguiva ma andare lì avrebbe voluto dire aspettare tempi tecnici che avrebbero ritardato o forse no, nessuno lo può sapere, il mio ingresso in campo: non mi sarei ritagliato subito quello spazio che pensavo potessi avere, o comunque chi era al mio fianco pensava potessi avere. Purtroppo, per fortuna o meno, devi prendere decisioni: non sono arrivate solo da me ma soprattutto da altri, così facendo intrapresi un percorso più veloce in una società diversa".
Capitolo Ventura, sei stato suo vice per tre anni. E' oggi, dopo le ultime annate e la sfortunata parentesi con la Nazionale, in difficoltà. Mister, ma tu Insigne lo avresti messo in quella gara di San Siro?
“Oggi diventa facile giudicare una scelta che ha portato purtroppo ad un giudizio disastroso della persona e dell'allenatore Ventura. Insigne era forse, in quel momento, il giocatore simbolo della Nazionale. Non è semplice prendere certe decisioni, l'allenatore aveva intravisto o si era fatto un'idea diversa dello sviluppo della gara. Non è andato contro i propri interessi, non ci credo, ma fatto una scelta sbagliata evidente che ha pregiudicato anche ciò che di buono aveva fatto in precedenza nella sua carriera. Un'esperienza che solo lui può spiegare e che forse neanche lui ripeterebbe nella scelta. Insigne poteva cambiare le sorti, ma è facile parlare dopo. Il risultato complica molto il nostro mestiere. Giocare bene piuttosto che giocare male e vincere è un qualcosa che non mi riguarda. Io cerco, nelle mie squadre, di giocare bene per arrivare al risultato ma non comprometto il risultato per giocare al meglio, punti di vista anche se uno non esclude l'altro".
Napoli-Fiorentina, sfida delicata tra la squadra di Gattuso con difficoltà sotto porta nonostante le tante occasioni create e quella di Prandelli, quasi una nobile decaduta. Che gara ti aspetti?
“Il Napoli darà delle risposte concrete alle polemiche. Non vivo l'ambiente azzurro ma ascoltando radio e televisioni, avendo poi anche Di Lorenzo all'interno del gruppo Napoli, sono indirettamente partecipe. Momento di forma non esaltante dal punto di vista fisico, ma è una squadra che sa quello che fa. Poi se fai 30 tiri e non fai gol, inutile fare polemiche. Squadra che costruisce e non concretizza, delle volte il risultato complica nettamente tutto e innesca meccanismi successivi che vedono Gattuso non più allenatore riferimento di una squdara che ha vinto la coppa Italia, facendo poi paragoni con Sarri che non ha vinto nulla nei suoi tre anni di esperienza. Gattuso ha ereditato il Napoli di Ancelotti, profilo da non confrontare con il suo per la carriera diversa. Si può discutere tutto ma i dati non vanno trascurati: ha risollevato la squadra e portato alla vittoria di un trofeo. Domenica si affronta la Fiorentina di Prandelli, anch'egli ha ereditato la squadra, da Iachini nel suo caso, ma non ha ottenuto i risultati sperati. Due squadre che vivono un momento di tristezza, ma non dimentichiamo che il Napoli è nei piani alti della classifica e la Viola deve ingranare la marcia in continuità per salire nella stessa".
Lo hai citato, Giovanni Di Lorenzo: come giudichi la sua esplosione e le polemiche però, sul suo conto, di questa stagione?
“Di Lorenzo è uno dei profili, in quel ruolo, tra i primi 3 in Italia: a distanza di qualche mese non può aver dimenticato come si gioca a calcio. Condizionato dalle involuzioni che possono portare a rivedere un giudizio ma che non deve essere stravolto del tutto. E' un Nazionale, quando c'è un'ascesa repentina, devi aspettarti anche un cambiamento. Se è arrivato ai vertici e ha toccato la Nazionale, non può diventare all'improvviso un brocco. Una leggera flessione ci sta, il top sarebbe tenere un livello alto tale da riconoscerlo come un top player. Talmente intelligente, umile e bravo che non farà fatica a riconquistarsi la fiducia che alcuni hanno ridotto nei suoi confronti. Sono sicuro di questo, l'ho allenato e conosciuto: è arrivato dove è arrivato per la sua capacità".
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