Altafini: "Io Core 'ngrato? E Zoff allora? Indossare la maglia dell'Italia la mia rovina, a Napoli gli anni più belli di sempre. Odio il film su Pelé"

23.07.2018
17:00
Redazione

José Joao Altafini compie ottant’anni e Il Mattino ha intervistato l'ex calciatore del Napoli calcio e Juventus.

José Joao Altafini compie ottant’anni e Il Mattino ha intervistato l'ex calciatore del Napoli calcio e Juventus. «Tutti mi fanno gli auguri, me li fanno da un mese ormai: siccome li compio domani, speriamo di arrivarci. Ho vissuto sette anni a Napoli e so bene cosa è la scaramanzia: l’ho imparata lì».

Quando arrivò al Napoli, Fiore lo annunciò euforico: «Napoletani, il più grande centravanti al mondo fa parte della nostra famiglia».

Che presidente è stato Roberto Fiore?

«Straordinaria, ilmigliore di tutti. Competente e appassionato. Avrebbe fatto di tutto per poter regalare lo scudetto al Napoli. Fui travolto dalla sua euforia».

Se fosse stato per suo padre avrebbe fatto il meccanico?

«Lui non voleva che giocassi a pallone, e quando ho iniziato con il Piracicaba voleva che continuassi a studiare. Ma io volevo solo andare dietro a un pallone. E poi sognavo l’Italia. Come tutti quelli della mia generazione».

Al Palmeiras le danno il soprannome di Mazola.

«Sì dicevano che somigliavo a Valentino Mazzola, il papà di Sandro. Ma per me fu una rovina: arrivai da voi e tutti si ricordavano di come giocava lui e ci rimanevano male quando poimi vedevano giocare alla Altafini. Sarebbe stato meglio Zezo, comemi chiamava mia mamma».

Zezo indubbiamente sarebbe statomeglio di Coniglio, che dice?

«Colpa di Viani, al Milan mi ha rovinato la vita con quel nome. Appena non segnavo, ecco che a San Siro sentivo quel nomignolo. Io che in vita mia non ho mai giocato con i parastinchi. Entrava negli spogliatoi e mi additiva: “ecco, abbiamo perso per colpa di quello lì”».

Una gioia doppia quando passò al Napoli e lamandarono via dal Milan?

«Il presidente Riva era sicuro che stavano per darmi alla Juve, ma Roberto Fiore fu astuto e abile a fargli cambiare idea. E così ho vissuto i sette anni più bella della mia vita».

Senza vincere nulla però?

«Era un Napoli stellare, avremmomeritato lo scudetto con il grande Pesaola in panchina e io, Sivori, Juliano a farci trascinare dagli ottantamila del San Paolo. Il petisso era straordinario: si entrava in campo ridendo e si usciva dallo stadio sempre con una risata. “Mi raccomando, mi diceva, stanotte non tornare a casa prima delle quattro”. Al Milan, invece, Rocco aveva il pugno duro: massimo alle 10 a letto.Ma che vita era?».

97 gol in maglia azzurra. Il più bello?

«Quello al Bologna, dopo meno di un minuto, scarto quattro difensori e sento il boato dei 10mila tifosi venuti fino a lì. Qualcuno dice: altro che coniglio, questo è un leone. E io dissi: calma, qui di leone c’è sempre e solo Vinicio».

Ha sempre giurato di non ricordarselo neppure quel gol?

«Mi ricordo tutto, mica sono rimbambito».

Però il gol che i napoletani ricordano di più è un altro...

«Lo so, ma a 34 anni restai fermo. Il Napoli non voleva più saperne di me, mi voleva la Roma che aveva Herrera in panchina, ma anche la Sampdoria, la Fiorentina e il Milan di nuovo.Mi chiama Allodi e decido di andare alla Juventus. Una seconda giovinezza. Entro sempre e faccio gol. Lo feci anche al Napoli quel giorno di aprile. Non sonomai stato un traditore, perché se il Napoli voleva poteva tenermi. Non lo fece».

Core ‘ngrato dunque la ferisce ancora?

«Ricordano tutti me. E Zoff che fino a quel momento era stato il migliore in campo prendendo un tiro di Juliano che era diretto all’incrocio dei pali?».

Più bello il Mondiale del ‘58 o la finale di Wembley del ‘63?

«Gioie immense. Ogni volta che c’è la finale di Champions,mi chiamano per ricordare il gol al Benfica: il primo successo italiano in Coppa dei Campioni. Ma per me brasiliano la vittoria in Svezia resta una cosa straordinaria, perché davvero avevamo tutti dentro la ferita per la sconfitta del ‘50 con l’Uruguay. Per il mio Paese una tragedia unica».

Nel film su Pelé viene descritto come uno insopportabile.

«Odio quel film. Io sono esattamente il contrario: gioioso, spensierato, allegro. Mai stato arrogante con nessuno. Proprio come i napoletani. Invece mi hanno fatto apparire come una specie di nemico di Pelè: invece non è vero che ero ricco, che la sua mamma lavorava a casamia, che io avevo quegli atteggiamenti di superbia. Quanta rabbia nel vedermi raccontato così».

Si è pentito di aver indossato la maglia dell’Italia nel ‘62?

«La mia rovina. Perché poi non ho più giocato con nessuna nazionale. Ma che potevo fare? In Brasile c’era la regola stupida che chi giocava all’estero non poteva essere convocato. E allora accettai, perché a 24 anni volevo ancora giocare un Mondiale. Un disastro».

Ora vive con la pensione sociale?

«Purtroppo ho sempre vissuto senza pensare ai soldi, quindi i soldi non li ho fatti. Ho sempre pensato solo a divertirmi e non ho mai pensato alla pensione da calciatore. Però non mi manca nulla: do unamano a un mio amico che ha una azienda di campi in erba sintetica. Mi do da fare, proprio come quando ero ragazzino».

Chi è il compagno di squadra con cui più ha legato?

«Ho giocato con i migliori al mondo, da Pelè a Sivori, da Garrincha a Zizinho. Però Liedholm non era solo forte, ma era anche un galantuomo. Una persona geniale e garbata». C’è un suo erede? «Lamia eredità l’ho lasciata alle mie gambe: 40 anni all’una e 40 anni all’altra».

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