
Cucchi: "Pizzul? Un maestro, ha avuto un unico rammarico che non ha mai detto pubblicamente"
Oggi su CRC, radio partner della SSC Napoli, nel corso della trasmissione “A Pranzo con Chiariello” è intervenuto il radiocronista Riccardo Cucchi.
Di seguito le sue parole:
«Bruno Pizzul era maestro in tutto. Lui era un maestro per noi giovani di quella generazione che volevamo fare questo mestiere e per le nuove generazioni di bravi telecronisti e radiocronisti che spero prendano esempio da lui per il suo stile e per il modo pacato di raccontare il calcio con molta semplicità e sensibilità verso i suoi spettatori. Lui è stato un maestro per chi ha lavorato insieme a lui e per chi lo ha affiancato in tutti gli anni in cui lo abbiamo ascoltato. Lui era innamorato del calcio e lo raccontava con semplicità come semplice e bello è il gioco del calcio.
Se il calcio è cambiato è anche perché sono mancati narratori bravi come Bruno Pizzul. Bruno aveva un'idea molto chiara di quello che doveva essere il ruolo del commentatore e del giornalista che è un ruolo di testimonianza e di testimoniare ciò che racconta. Il giornalista non è mai un protagonista di quello che racconta e lui non si è mai sentito protagonista di quello che raccontava. Lui non ha mai pensato di essere più importante dell’evento e questo atteggiamento dovrebbe ispirare i telecronisti di oggi.
Una delle caratteristiche che ho apprezzato di più di Bruno era il suo modo di raccontare il calcio. Lui parlava il linguaggio di tutti noi, senza particolari aggettivazioni ed enfasi. Lui ha reso semplice il calcio attraverso il linguaggio con cui lo descriveva.
Bruno è stato un calciatore e ha giocato anche nelle serie professionistiche. Lui era capace di capire il calcio tatticamente e tecnicamente più di tanti altri giornalisti ma non è mai salito sulla cattedra con la presunzione di insegnare il calcio alla gente. Quando c’era lui al microfono non c’era bisogno di avere delle seconde voci poiché avere al microfono uno come lui che conosceva il calcio come le sue tasche era più che sufficiente. Io direi che tornare ad un certo tipo di racconto più che un ritorno al passato sarebbe un ritorno al futuro.
Il suo unico rammarico è di non aver mai commentato la vittoria dei mondiali dell’Italia. Lui, però, non lo ha mai manifestato pubblicamente poiché sapeva perfettamente, come dovremmo sapere tutti noi, che i mondiali o gli europei non li vincono i telecronisti o i radiocronisti ma li vincono calciatori. Il rammarico da questo punto di vista sarebbe stato anche ingiusto poichè avrebbe significato un tentativo di sovrapposizione rispetto all’evento e alla partita che commentava che ha sempre evitato e che non hai mai voluto. È stato uno scherzo maligno del destino anche se ci è andato vicino nel 1990 ma sappiamo tutti com'è andato a finire.
Lui è stato il simbolo delle notti magiche insieme agli occhi di Schillaci e le giocate dei grandissimi giocatori che avevamo. Baggio era il calciatore che amava di più in assoluto. Lo amava talmente alla follia che lo chiamava solo con il suo nome, Roberto. Purtroppo fu proprio Baggio che mandò alle stelle quel calcio di rigore che ci costò un mondiale. Bruno che non ha mai gridato ai campioni del mondo e lo avrebbe meritato, non si è mai soffermato più di tanto a rimpiangere quel mondiale.
La sua empatia e la sua umanità era presente anche quando era al microfono. Bruno era la stessa persona tutti i giorni, non ha mai scisso la persona che era al microfono da quella che era nella vita di tutti giorni. Bruno è stato tra i pochi che ha saputo instaurare dei legami veri e profondi di amicizia con i giocatori. Lui era molto amato dai giocatori ed è raro vedere nel mondo un giornalista che riesca a costruire delle amicizie rarissime con i giocatori. Per i calciatori era fondamentale avere un amico che sapesse leggere e capire il calcio come loro.
Voglio raccontare un particolare anche se so che oggi appare politicamente scorretto. Quando lui raccontava le partite si sentiva il rumore di fondo dell’accendino con cui si accendeva la sigaretta che era l'immancabile amica durante le telecronache in tempi in cui si poteva fumare. Anche quel rumore dell’accendino è Bruno Pizzul.
La narrazione dell’Heysel è stata Bruno Pizzul. Non è mai stato un giornalista che tentava di cavalcare gli eventi come fanno molti professionisti oggi che tentano di cavalcare gli eventi anche quando sono tragici. Nella tragedia dell’Heysel ha avuto un tono e un atteggiamento distaccato, sensibile e più preoccupato per noi e per le nostre reazioni e per i parenti che avevano i familiari all’Heysel piuttosto che animato dal prurito del telecronista.
Il calcio mi piace moltissimo, io sono innamorato alla follia del calcio. Sono persino tornato alla stadio Olimpico da tifoso in veste di abbonato in curva per assistere alle partite della mia squadra del cuore. Adesso lo posso fare da tifoso con la sciarpa al collo rispetto a quando lavoravo.
Il problema non è il calcio ma quello che succede intorno al calcio, la narrazione e tutto quello che non c’entra nulla con questo sport. Spesso sento abbinare due parole al calcio che detesto: Spettacolo e Intrattenimento. Queste due parole conducono il calcio sulla strada della rovina. Il calcio è sport e passione, non spettacolo. Il tifoso va allo stadio per soffrire, per tifare mettendo tutto il suo sentimento per la propria squadra del cuore e non per divertirsi. Il calcio non è uno spettacolo, chi lo definisce così porta questo sport in una direzione diversa»