La lettera di Antonella Leardi: "Ciro mi manca come l'aria. Spesso mi soffermo sul tempo, mi sembra si sia fermato"
Esplora il significato del termine: Mio figlio Ciro è morto un anno fa, e non c’è giorno in cui non lo pianga. Ogni giorno sono nella sua stanza, guardo e accarezzo i suoi vestiti. Fino alla fine dei miei giorni penserò sempre che Ciro mi ha lasciato da poco. Spesso mi soffermo sul tempo, mi sembra si sia fermato. Mio figlio Ciro è morto esattamente un anno fa, e non c’è giorno in cui non lo pianga. Eppure se penso al lutto del mio cuore, ho l’impressione che siano passati venti o trenta giorni da quella mattina del 25 giugno al Policlinico Gemelli. E questo acuisce forte il mio dolore, mi impedisce di metabolizzare la sua assenza. Fino alla fine dei miei giorni penserò sempre che Ciro mi ha lasciato da poco. Ho trovato conforto nella fede, ho avuto la forza per andare avanti senza di lui e confortare mio marito e gli altri due figli Michele e Pasquale. Eppure a volte mi manca l’aria. Sì, perché Ciro vive ma non respira più. Ogni giorno sono nella sua stanza, guardo e accarezzo i suoi vestiti. Sorrido guardando la sua collezione di accendini sistemata su di un mobiletto. Sento la sua voce. E ripenso a quei cinquanta giorni in ospedale, il periodo più lungo che siamo stati così vicini, complici. Il suo sorriso, la voglia di combattere. E le poche parole. Le lacrime e poi la speranza. Ammettere ancora una volta che ho perso un figlio per la violenza delle tifoserie, mi uccide due volte. Domani è un giorno importante, pregheremo tutti insieme per Ciro nell’auditorium di Scampia, lì dove un anno fa allestimmo la camera ardente. Non abbiamo fatto inviti formali, le persone che ci sono state vicino ancora una volta saranno con noi. Domenica scorsa mi ha telefonato il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis. Lui ha sempre un pensiero per noi. Non ho mai chiesto solidarietà a nessuno. La scelta di creare un’associazione per mio figlio è stata naturale, una difesa contro il dolore. Andiamo nelle scuole, promuoviamo la pace nel nome del sacrificio di Ciro. E lo sento accanto a me, sempre. Parlare di lui, raccontare di lui mi fa sentire bene. Riempio volutamente le mie giornate di queste iniziative, anche il libro che ho scritto, sul quale in tanti hanno strumentalizzato, è stato il modo per continuare a sentirlo fisicamente accanto a me. Perché è proprio la mancanza fisica che ogni giorno di più è insopportabile. Lui c’è, ma non fisicamente. E vado avanti, aggrappata alla speranza cristiana. Promuovendo la pace tra i bambini. Ecco, i bambini. Quelli che se ti guardano ti rendono felice e basta. E ti danno la forza di pensare a Ciro che ride, al ragazzo solare e generoso che è stato. Un anno in cui il tempo si è sì fermato, ma se avessi vissuto mille vite non avrei mai incontrato le centinaia e centinaia di persone che ho conosciuto dopo la sua morte. Ogni sera bacio il mio Ciro sul suo cuscino, e mi accorgo però che sono cambiata. Mi accerto subito dove sono gli altri due figli. Li cerco, li chiamo. La paura è costante: e se capitasse anche a loro qualcosa di terribile? E mi prende l’angosciaMio figlio Ciro è morto un anno fa, e non c’è giorno in cui non lo pianga. Ogni giorno sono nella sua stanza, guardo e accarezzo i suoi vestiti. Fino alla fine dei miei giorni penserò sempre che Ciro mi ha lasciato da poco. Spesso mi soffermo sul tempo, mi sembra si sia fermato. Mio figlio Ciro è morto esattamente un anno fa, e non c’è giorno in cui non lo pianga. Eppure se penso al lutto del mio cuore, ho l’impressione che siano passati venti o trenta giorni da quella mattina del 25 giugno al Policlinico Gemelli. E questo acuisce forte il mio dolore, mi impedisce di metabolizzare la sua assenza. Fino alla fine dei miei giorni penserò sempre che Ciro mi ha lasciato da poco. Ho trovato conforto nella fede, ho avuto la forza per andare avanti senza di lui e confortare mio marito e gli altri due figli Michele e Pasquale. Eppure a volte mi manca l’aria. Sì, perché Ciro vive ma non respira più. Ogni giorno sono nella sua stanza, guardo e accarezzo i suoi vestiti. Sorrido guardando la sua collezione di accendini sistemata su di un mobiletto. Sento la sua voce. E ripenso a quei cinquanta giorni in ospedale, il periodo più lungo che siamo stati così vicini, complici. Il suo sorriso, la voglia di combattere. E le poche parole. Le lacrime e poi la speranza. Ammettere ancora una volta che ho perso un figlio per la violenza delle tifoserie, mi uccide due volte. Domani è un giorno importante, pregheremo tutti insieme per Ciro nell’auditorium di Scampia, lì dove un anno fa allestimmo la camera ardente. Non abbiamo fatto inviti formali, le persone che ci sono state vicino ancora una volta saranno con noi. Domenica scorsa mi ha telefonato il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis. Lui ha sempre un pensiero per noi. Non ho mai chiesto solidarietà a nessuno. La scelta di creare un’associazione per mio figlio è stata naturale, una difesa contro il dolore. Andiamo nelle scuole, promuoviamo la pace nel nome del sacrificio di Ciro. E lo sento accanto a me, sempre. Parlare di lui, raccontare di lui mi fa sentire bene. Riempio volutamente le mie giornate di queste iniziative, anche il libro che ho scritto, sul quale in tanti hanno strumentalizzato, è stato il modo per continuare a sentirlo fisicamente accanto a me. Perché è proprio la mancanza fisica che ogni giorno di più è insopportabile. Lui c’è, ma non fisicamente. E vado avanti, aggrappata alla speranza cristiana. Promuovendo la pace tra i bambini. Ecco, i bambini. Quelli che se ti guardano ti rendono felice e basta. E ti danno la forza di pensare a Ciro che ride, al ragazzo solare e generoso che è stato. Un anno in cui il tempo si è sì fermato, ma se avessi vissuto mille vite non avrei mai incontrato le centinaia e centinaia di persone che ho conosciuto dopo la sua morte. Ogni sera bacio il mio Ciro sul suo cuscino, e mi accorgo però che sono cambiata. Mi accerto subito dove sono gli altri due figli. Li cerco, li chiamo. La paura è costante: e se capitasse anche a loro qualcosa di terribile? E mi prende l’angoscia