
Lukaku: "Conte ed io come Jackson e O'Neal, entrambi vogliamo vincere! Scudetto si deciderà nei dettagli, siamo forti nella testa!"
Ultime news SSC Napoli, lunga intervista alla FIFA di Lukaku che parla di Scudetto e di Antonio Conte
Ultime notizie SSC Napoli - In un’intervista alla FIFA per celebrare i 15 anni di carriera internazionale, Big Rom, Romelu Lukaku, ha sottolineato l’orgoglio di rappresentare il suo Belgio, parlando di come è riuscito a costruire un percorso così importante e di quello che può ancora arrivare, dalla lotta scudetto con la maglia del Napoli alle prossime qualificazioni per i Mondiali che si disputeranno nel 2026 tra USA, Messico e Canada:
Quanto ti piace Napoli? Hai detto che Mertens ti aveva detto qualcosa riguardo la città.
“Sono stato preparato bene da Dries riguardo Napoli. Ci sentiamo spesso, lui è uno di quei giocatori importanti anche fuori dal campo. Quando sono arrivato qui già sapevo cosa fare. Non sono uno di quelli che esce tanto ma avverto sempre il calore di Napoli. I tifosi e la gente ci danno una spinta incredibile, apprezzo tanto il loro supporto. In casa, fuori casa, per strada, riceviamo sempre tanto affetto. Una città splendida in cui vivere”.
Qual è il segreto del tuo rapporto con Antonio Conte?
“Io e Conte siamo semplicemente onesti tra di noi. Lui ha delle idee e dei piani che io già conosco. Non ha bisogno di darmi spiegazioni, riesco a capire subito quello che lui vuole. Da un punto di vista tattico lui sa che sono uno che studia molto le gare. Ho guardato le sue partite a lungo, più o meno da quando ha chiesto informazioni su di me nel 2013/14. Riesce a portarmi mentalmente e fisicamente ad un altro livello e a me piace dare la massima disponibilità al suo lavoro. Credo che ci rendiamo migliori a vicenda. Lui è uno dei migliori allenatori, un vincente. Ci capiamo al volo, prima come uomini e poi come sportivi.
Ci rispettiamo e sa che può chiedermi tanto perché alla fine arrivano i risultati in questo modo. La cosa più importante è che entrambi vogliamo vincere. Quando non vinciamo non stiamo bene. Le nostre differenze sono complementari e ci bilanciamo alla perfezione. Ogni giocatore ha quell’allenatore che gli cambia la carriera. Cristiano Ronaldo ha avuto Ferguson, Messi Guardiola, Drogba Mourinho. Mi piace pensare che siamo come Phil Jackson e Shaquille O’Neal”.

Ora avete l’opportunità di vincere di nuovo insieme. Come vi state preparando?
“Dal nostro punto di vista stiamo lavorando ogni giorno dando il massimo per vincere il campionato. Ora dipende tutto dai dettagli: fisicamente siamo forti, tecnicamente pure, abbiamo la giusta mentalità in allenamento e nelle partite. Non è stato facile, perché abbiamo iniziato la stagione in un modo, poi abbiamo cambiato sistema di gioco, poi abbiamo cambiato di nuovo, ma la maturità della squadra sta proprio nel riconoscere le situazioni e come cambiano le partite. Ora bisogna essere disponibili al sacrificio, al lavoro ed essere forti mentalmente”.
La rete contro il Milan è stata la numero 400 in carriera. Lukaku ha ancora un sogno nel cassetto?
“Ora voglio soltanto godermi ogni gol che faccio e vedere dove mi portano. Con il tempo acquisisci esperienza e riesci a riconoscere le dinamiche di una partita. Diventa tutto più semplice e divertente da quel punto di vista. Se i gol che segnerò nel resto della mia carriera mi porteranno titoli sarò molto felice, perché tutto ruota intorno alla vittoria. Non ho particolari sogni, voglio solo stare bene e in forma, credo sia la cosa più importante. Giocare più a lungo possibile ad alti livelli e godermi tante partite ancora di questo splendido sport che ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia”.
Quanto sei orgoglioso di rappresentare il Belgio e cosa significano per te questi 15 anni a livello internazionale?
“Sono veramente orgoglioso di rappresentare il mio Paese. Ho iniziato a 16 anni, ero molto giovane. Mi sono divertito a lavorare con tutti i compagni e gli allenatori avuti. È veramente una grande esperienza giocare per il tuo Paese. Ho sempre dato il massimo perché è qualcosa di molto motivante: giochi per la tua nazione, i tuoi amici, i tuoi familiari. Tutto ciò porta pressione e responsabilità diverse, ma mi piace tanto e spero che ci saranno ancora grandi anni a seguire”.
Ricordi la prima convocazione e la prima presenza in nazionale?
“Credo fossi a scuola quando ho ricevuto un messaggio per la prima convocazione con la nazionale. Il lunedì successivo andai di nuovo a scuola e dopo mio padre mi accompagnò al ritiro della Nazionale. Come primo giocatore ho incontrato Vincent Kompany, perché veniamo entrambi dall’Anderlecht e siamo rimasti legati da quello. Poi conoscevo Moussa Dembelé perché era il miglior amico di mio cugino. Loro sono stati i miei punti di riferimento a livello internazionale. Ho sempre creduto che potessi farcela. Ricordo che giocavamo contro la Croazia, entrai in campo, feci bene, calciai in porta… Avrei voluto segnare ma non fa nulla, dopo sono arrivati tanti gol”.
Qual è stato il momento migliore con il Belgio e quale il peggiore?
“Penso che il momento migliore sia stato il gol contro il Portogallo perché mio fratello mi servii l’assist e fu davvero emozionante. Il momento peggiore sicuramente la semifinale della Coppa del Mondo del 2018, credo lo sia stato per tutto il nostro Paese. Bisogna imparare da quei momenti e continuare sulla propria strada”.
Cosa significa giocare un Mondiale e qual è l’obiettivo del Belgio in vista del prossimo torneo in USA, Messico e Canada?
“Giocare una Coppa del Mondo significa tutto. Devi essere paziente, si gioca ogni quattro anni. Non sai mai cosa può succedere e quale può essere il tuo ultimo Mondiale. Quattro anni sono davvero tanti. Devi prepararti al meglio mentalmente perché in quel momento sei sul più grande palcoscenico internazionale. Sarebbe bello giocare un quarto Mondiale l’anno prossimo, l’obiettivo è vincere ogni partita, vincere il gruppo di qualificazioni e magari presentarci al Mondiale come “underdogs”. Non siamo la stessa generazione di quella precedente ma non sai mai come può cambiare ed evolversi il gioco di una squadra”.
Qual è il ricordo più bello che hai nella tua carriera internazionale?
“Gli aneddoti da raccontare sarebbero tantissimi. La cosa più bella è quanto siamo stati competitivi tra di noi. Tutti i momenti che ho vissuto con quel gruppo dal 2016 al 2021 sono stati i migliori. Eravamo felici di competere tra di noi per la nazionale ad altissimi livelli: ad esempio, se qualcuno veniva saltato in allenamento o riceveva un tunnel era finito. L’atmosfera nel gruppo era fantastica, tutti passavamo del tempo insieme e giocavamo l’uno per l’altro. Penso che questo ci sia mancato per un po’ ma ora sta tornando quello spirito di squadra e ne abbiamo bisogno”.
Dopo un’infanzia non semplice, hai promesso a tua mamma che saresti diventato un calciatore. Cosa diresti al Romelu Lukaku bambino che sogna di diventare un giocatore professionista?
“Da piccolo credevo di diventare quello che sono oggi. Non ho mai pensato che sarei diventato il migliore al mondo, ma credevo di diventare il miglior numero 9 del Belgio di tutti i tempi. Sapevo di essere diverso dagli altri e di avere una mentalità speciale, che non tutti riuscivano ad avere. Ero consapevole di avere delle grosse abilità fisiche, atletiche e tecniche ma la mia mentalità ha fatto la differenza. Qualcuno, anche familiari, mi diceva di stare attento, ma io sapevo che ce l’avrei fatta. Oggi ridiamo di quello. Non permetto ai miei figli di dire “non posso fare qualcosa”. Devono dirsi “Io posso”. Questo è il potere delle parole e bisogna credere e trasmettere questo ai propri figli, come hanno fatto i miei genitori. Al bambino che ero oggi direi fai quello che hai programmato, non ascoltare nessuno, perché io non ho ascoltato nessuno al di fuori dei miei genitori. Ci vuole rispetto per sé stessi e per il duro lavoro”.
Qual è stata l’esperienza che ti ha permesso di crescere di più nella tua carriera?
“Credo che i primi anni al Chelsea siano stati positivi e negativi da un punto di vista di campo, perché sì ero al Chelsea, però volevo anche giocare. Ma quello che mi ha insegnato tanto è stato essere in un ambiente vincente. Condividere lo spogliatoio con Drogba, Torres, Kalulu, Malouda, Lampard, Terry, Obi-Mikel, Essien, David Luiz, Cech, Anelka. Essere a 18 anni in uno spogliatoio del genere mi ha dato tanto. Avevamo avuto una stagione difficile, eppure abbiamo vinto una FA Cup e la Champions League. Il modo in cui quei giocatori si preparavano per quei momenti decisivi l’ho portato con me per il resto della mia carriera.
Da marzo in poi i loro occhi sono cambiati, il modo di allenarsi, di prepararsi negli allenamenti… Ero felice che a fine allenamento mi chiedevano anche di trattenermi per altri esercizi, nonostante avessi 18 anni, perché rispettavano me e i miei sacrifici e io rispettavo loro e la loro etica del lavoro. Sono molto grato a loro per tutto questo. Lì ho imparato anche a comunicare in diverse lingue. Da quel momento in poi ho saputo adattarmi in ogni club in cui sono andato. Ogni step che ho fatto nella mia carriera mi ha aiutato a diventare quello che sono oggi”.