Raciti, la moglie: "Pensavo che le cose sarebbero cambiate. Neanche i morti smuovono le coscienze"

29.12.2018
10:30
Redazione

Chi il dolore lo ha già patito in passato è Marisa Grasso Raciti, moglie di Filippo Raciti, il poliziotto ucciso negli scontri tra

Chi il dolore lo ha già patito in passato è Marisa Grasso Raciti, moglie di Filippo Raciti, il poliziotto ucciso negli scontri tra tifoserie di Catania e Palermo nel febbraio 2007.

"Sotto Natale si dice che dovremmo essere tutti più buoni - così riferisce ai microfoni del Mattino - Invece, ancora violenze e un morto fuori uno stadio. Ho sempre pensato che, anche dopo la morte di mio marito, le cose non sarebbero cambiate».

Perché?

«Le violenze tra tifosi, così almeno vengono ancora chiamati sui giornali gli ultrà violenti, esistevano prima che mio marito morisse e sono continuate anche dopo. Quando andai a vedere il corpo di mio marito all'obitorio, passai fuori lo stadio del Catania e mi sembrava di guardare lo scenario di una guerra».
 

Lo stesso scenario, come appare dai racconti, visibile anche dopo gli scontri in via Novara a Milano?
«Così leggo. Anche a Milano ci sono stati feriti, un morto, che significa una famiglia che soffre. So cosa provano. Purtroppo, è un problema culturale. Ci vuole prevenzione e repressione, ma anche tanta attività educativa».
 

Nulla è stato fatto, dopo la morte di suo marito?
«Sembrava che quel sacrificio avesse scosso le coscienze, che lo Stato e il mondo del calcio fossero pronti a cercare soluzioni. Si iniziò con la tessera del tifoso, ma il vero problema è la responsabilità sociale su questi fenomeni che è poco sviluppata».
 

In questi anni ha risposto a diversi inviti per parlare della sua esperienza con finalità educative. Cosa pensa oggi del mondo del calcio e della violenza che spesso scatena?
«È un gioco, così dovrebbe essere, che muove denaro e interessi. In Italia, tutte le imprese di qualsiasi settore sono chiamate a rispondere delle loro attività e degli effetti che provocano. Solo nel calcio sembra che le aziende si interessino poco ad educare quel mondo ultrà di cui spesso sono schiave. Subiscono certe tifoserie, quando dovrebbero educarle, isolarle. Evidentemente, gli interessi sono troppi».
 

Cosa c'è, a suo parere, dietro questo mondo violento da clima di guerra tra tifoserie?
«Credo ci sia solo l'odio. Ci sono tifoserie gemellate e altre nemiche. Un'assurdità. L'unico odio che le vede unite e coalizzate è quello contro le divise che rappresentano lo Stato. Per alcuni sono le guardie, per altri gli sbirri. Sono quegli uomini, come era mio marito, che servono lo Stato e credono nel loro lavoro, che hanno l'obiettivo di bloccare violenze prive di motivo. Tutto questo è davvero assurdo».

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