Mauro: "Era puro istinto, sempre pronto ad aiutare la squadra. Numero 10? Capii la sua grandezza quando gliela cedetti"

26.11.2020
13:50
Redazione

Mauro su Maradona

Napoli - «Diego è stato come un grande artista, come un musicista o un pittore: perché lui faceva arte e quindi adesso sarà accanto a Mozart e Van Gogh, a gente di questo livello. Geni assoluti, rimasti immortali per le loro opere, che continuano ad essere attualissime. Perché sono capaci di parlare a tutti». Massimo Mauro ha parlato di Maradona al Corriere della Sera:

Mauro

E cosa significava?

«Ho capito che quella maglia non apparteneva a un uomo, ma andava ben oltre: in quei due mesi, nei quali Diego non arrivava e io ho giocato cinque partite, ero il ragazzo più aiutato e spronato di Napoli. E intendo la città, non solo la squadra: capivano la pesantezza di quel numero sulle spalle. Io per la verità ero un po’ scanzonato e l’ho realizzato in seguito cosa fosse davvero Diego per Napoli».

Cos’era?

«È l’unica persona che non è nata lì eppure si può dire figlio di Napoli per tutto quello che ha vissuto. Infatti i napoletani lo piangono come San Gennaro. Era un uomo talmente generoso e disponibile, nel bene e nel male. Questo lo ha messo di fronte a tante situazioni difficili, ma è stata la sua vita e voglio ricordarlo solo per le cose belle».

Come andò a finire con quella maglia numero 10?

«Che Maradona entrò in campo al mio posto contro la Fiorentina, mentre perdevamo 2-0. Abbiamo vinto 3-2».

A volte compagni e soprattutto avversari avevano la sensazione che lui facesse un mestiere diverso?

«In realtà Diego aveva la semplicità dei grandissimi e se eri in difficoltà ti aiutava sempre. Se pensi a un suo gol, pensi a quello mitico contro gli inglesi al Mondiale messicano. Ma lui era concreto anche in tutte le altre cose che servivano alla squadra per vincere le partite: non solo i gol, quindi, ma la personalità, la capacità di starti vicino nei momenti più difficili. E soprattutto di essere decisivo nelle partite più importanti, che poi è la caratteristica dei fuoriclasse».

Il calcio a un certo punto lo ha scaricato?

«È così. Quando uno muore arriva sempre il tributo da parte di tutti e il riconoscimento della sua grandezza. Ma in alcuni momenti Diego andava ascoltato molto di più, penso ad esempio quando si scagliava contro la Fifa, i suoi interessi economici, i suoi Mondiali giocati in posti e in orari assurdi. Quel lato di Maradona meritava sicuramente più attenzione e più rispetto. Ma anche questo fa parte del suo modo di essere».

Maradona amava ripetere un suo rimpianto: «Pensa cosa sarei stato senza la cocaina».

«Anche dire così fa parte di Diego e del suo essere puro istinto. Lui era bellissimo proprio per questo motivo».

Cosa aveva più di Zico, Platini e degli altri grandi campioni?

«Nel più bravo di tutti ti aspetti sempre un po’ di presunzione. In lui non c’era. Poteva trovarsi di fronte a un intellettuale o a un operaio, ma Diego si metteva sempre al livello degli altri, per potere stare assieme a loro. E poi era impressionante sul campo».

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