C'erano una volta un comandante, 18 uomini e un colpo di Stato...
Ad Archimede, lo scienziato siracusano, sarebbe bastato un semplice punto d'appoggio per sollevare il mondo. A Sarri, invece, bastano 18 uomini per organizzare un colpo di stato. Prima di capire se sia veramente possibile ipotizzare il rovesciamento in maniera coercitiva di un potere costituito con appena 18 uomini, bisognerebbe capire perchè il colpo di stato sì, e lo scudetto, invece, no.
"E' una bestemmia. Chi parla di scudetto non può nemmeno entrare nei nostri spogliatoi", asserisce Sarri quando i colleghi gli pongono qualche domanda a riguardo. Sarà che la parola 'scudetto' nel vocabolario di Sarri non è ancora stata sdoganata. Sarà che si tratta di un personaggio controcorrente, anacronistico. Un allenatore che pensa solo a tecnica e tattica, non un manager che si occupa di mercato, strutture e quant'altro. Sarà che quando si parla di Sarri è impossibile non pensare ai campi di polvere e fango dei tempi in cui allenava lo Stia o la Faellese. Oppure alla scelta di passare da dirigente di banca per la Montepaschi in Toscana ad allenatore di piccole squadre di provincia. Eppure, risulta ancora molto difficile capire perchè, in presenza di una squadra che gioca un calcio a questi livelli, non si possa parlare di scudetto.
Sarri è così: il Che Guevara figlio di un operaio dell'Italsider di Bagnoli che proprio non ce la fa ad associare il calcio al business. Non ce la fa ad indossare giacca e cravatta a bordocampo e non ce la fa a parlare di obiettivi di mercato con la stampa. Parlategli di rivoluzioni e, magari, anche di lotta al capitalismo. Diciotto uomini possono fare un colpo di stato, ma lo scudetto... quello no!
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