
CdM - Ottavio Bianchi e Bigon, la nostalgia della sostanza...
Ottavio Bianchi e Bigon, c'è la nostalgia
Napoli - Come riporta l'edizione odierna del Corriere del Mezzogiorno, c’è chi la definisce fortuna, chi fato, chi casualità, chi influenza astrale. Certo è che trovarsi al posto giusto nel momento giusto aiuta a vincere. È capitato a tanti allenatori. Da napoletano ricordo Ottavio Bianchi e Albertino Bigon, ottimi calciatori ed anche ottimi allenatori, che in un momento della loro vita hanno incrociato i propri destini con quello della vera divinità del calcio, Maradona. È successo ovviamente a Napoli, città simbolo dei miracoli, che li ha addirittura scadenzati, a date fisse da rispettare da parte del Santo, che ogni anno deve ricordarsi e ripetere il miracolo, pena essere insultato. Chissà quante volte San Gennaro avrà esclamato: “ma chi mo facette fa”. Il risultato furono 2 scudetti, che probabilmente senza quell’incontro fortuito non avrebbero mai vinto. Anche l’acquisto di Diego fu un miracolo,il presidente Ferlaino me ne ha parlato spesso.Ogni volta arricchendolo di particolari inediti, come quello del bar dell’albergo di Barcellona, quando l’ingegnere ascoltò casualmente due spagnoli rallegrarsi per aver venduto un “bidone” al Napoli. Si raggelò, ma ormai l’aveva acquistato, non gli rimaneva che affidarsi ai Santi, che senza dubbio l’ascoltarono, realizzando la più bella favola del calcio, non solo napoletano. Ne beneficiarono Bianchi e Bigon, capitati nel posto giusto al momento giusto, inseriti inconsapevolmente in una storia a lieto fine scritta molto in alto.
Mi piace pensare sia successo così, parlare solo di fortuna o di casualità è riduttivo e poco romantico. Anzi, più tempo passa più i due scudetti napoletani assumono per me sembianze trascendentali. Sarebbe ora di rinnovare il miracolo, perché anche questa volta di questo si tratterebbe. Sempre a Napoli, in tempi più recenti, è capitato che un allenatore toscano, bravo ma poco conosciuto, relegato ingiustamente in provincia, viene scelto da ADL dopo che un paio di allenatori prime scelte avevano rifiutato. Posto giusto al momento giusto, una rosa di bravi calciatori e bravissimi ragazzi che, applicandosi con dedizione, permettono all’allenatore di poter esprimere il suo credo, finalmente. E nasce il sarrismo, addirittura una filosofia di gioco. Non si vince nulla ma è un gioco che incanta. Sarri diventa famoso e legittimamente ricco. Ma non conosce la storia di Bigon e Bianchi, nè quella dei miracoli, del destino e della casualità.Crede che è tutto merito suo,o almeno in gran parte, e vuole dimostrarlo a tutti. La storia è recente, sappiamo come è andata. Il Chelsea, la Juve, la casa in Toscana. È successo anche a Torino,città esoterica per definizione. Antonio Conte viene assunto e comincia a vincere scudetti su scudetti, urla da bordo campo, chiama i passaggi, quasi scende in campo per guidare la squadra. Si convince anche lui di essere il principale artefice di quei successi e non avendo mai sentito le storie di Bigon e Bianchi, vuole dimostrare di essere vincente ovunque e va via. Al Chelsea. Questa strana similitudine con Sarri, emigrare a Londra per affermarsi definitivamente come vincente. Sarà un caso per gli scettici, un incrocio astrale per altri. Il resto è storia recentissima, l’Inter e la finale persa con il Siviglia. Ormai sembra che si dimeni a bordo campo più per scaramanzia che per guidare la squadra. I calciatori sentono questa presenza ingombrante, scenografica, quasi caricaturale. Sento il bisogno di un sistema calcio fatto di sostanza,più che di apparenza.Meno sceneggiate e più sport, più serietà e meno isterismi. I tempi che viviamo impongono comportamenti diversi. Magari rileggendosi la storia di Bianchi e Bigon, personaggi splendidi, umili ed intelligenti, che neanche per un attimo hanno pensato di aver vinto da soli gli scudetti napoletani. Ma che ringraziano ancora oggi chi o cosa abbia permesso loro di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, con Diego.Altri tempi, altra Italia.