CorSera - Chi ha la VAR e chi non ce l'ha: la difficile mutazione del calcio. La FIFA l'ha adottata, la UEFA resiste per ragioni politiche

17.03.2018
17:45
Redazione

Che la Var stia contribuendo a una specie di mutazione genetica del calcio, vale a dire il suo sdoppiamento in due sport distinti, uno con e uno senza, è

Che la Var stia contribuendo a una specie di mutazione genetica del calcio, vale a dire il suo sdoppiamento in due sport distinti, uno con e uno senza, è ormai un’evidenza verso la quale è complicato individuare obiezioni assennate. Riflessione elementare: con l’aiuto delle immagini televisive perfino il modesto arbitro svedese Jonas Eriksson l’altra sera si sarebbe accorto della sceneggiata di Welbeck, lo avrebbe ammonito per simulazione, avrebbe revocato il rigore e forse — forse — l’esito di Arsenal-Milan sarebbe stato differente. Gli inglesi, che in Premier ancora non l’hanno introdotta e che restano piuttosto scettici per impostazione culturale, si sono infatti concentrati sull’immoralità del «tuffatore» come da onesta definizione del Times , evitando di ampliare il discorso sull’opportunità o meno della Var. Della quale, questa è la verità, lassù non sentono granché il bisogno proprio perché per impostazione mentale l’arbitro viene visto come un giudice il quale, right or wrong, giusto o sbagliato, decide e amen.

Tutto vero, tutto very british . A una cosa però la grossolana cantonata del Milionario — come i suoi colleghi da sempre chiamano l’arbitro svedese, ricco sfondato da quando nel 2007 piazzò le quote della sua brillante startup — potrebbe servire qua come lassù, vale a dire ispirare una seria riflessione su come e quanto questo sdoppiamento rischi di nuocere a entrambi i mondi. Con un po’ d’immaginazione non è difficile tratteggiare la Var come una cortina di ferro fra due blocchi contrapposti: di qua la Fifa e la sua spinta modernista che in molti, anche all’interno dell’habitat arbitrale, ritengono quasi eccessiva visto che il Mondiale rischia di trasformarsi in un’azzardata prova generale, di là una Uefa che va in direzione opposta e che giusto due settimane fa ha ufficializzato che «non sarà introdotta nella prossima Champions né in Europa League perché nessuno ancora sa esattamente come funziona».

Ideologie, opportunismi, politica, soldi: come in ogni intrigo internazionale c’è dietro un po’ di tutto, di certo c’è il delicato ruolo di Ceferin, che per prendersi nel settembre 2016 la poltrona di comando dell’Uefa ha fatto leva sull’orgoglio delle piccole e medie federazioni, come la sua, quella slovena, proprio quelle piccole federazioni che — in caso di introduzione della Var — sarebbero costrette ad attrezzare in tutta fretta i propri stadi, spesso minuscoli, per giocarci magari una partita sola, ai turni preliminari. A Ceferin, è chiaro, ora come ora non conviene accelerare dato che gran parte dei suoi 42 voti li ha pescati lì. Ecco il perché della scelta comunicativa di una chiusura netta. Da Nyon emerge però un quadro differente, nessuna ostilità ideologica reale ma una semplice cautela dettata da una tempistica più complessa. Si era riflettuto anche sulla possibilità di introdurre la videoassistenza dagli ottavi in poi già delle prossime Champions ed Europa League, ipotesi però scartata perché nessuno è convinto dell’idea di tornei spezzati in due.

Il piano è prendere tempo, approfondire il dossier quest’anno e abbozzare un’introduzione per il 2019/’20. L’uomo chiave, ovviamente, è italiano: Pierluigi Collina, responsabile arbitri Uefa ma anche presidente della commissione arbitri Fifa. Chissà che non sia proprio lui a buttar giù la cortina di ferro.

Fonte : Corriere della Sera
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