CdN - Europa League, c'è il tabù Mosca da sfatare. L'ultima volta c'era in campo Diego

28.02.2015
21:15
Redazione

Sono passati 25 anni, ma quella ferita brucia ancora. Perché chiuse l’avventura di Diego Maradona in Coppa dei Campioni, perché segnò di fatto la fine del ciclo d’oro del Napoli dell’argentino. Mosca e nuvole gonfie di neve quel giorno di novembre del 1990, il 7 la data. Il Napoli ha lo scudetto sul petto ma un potenziale disarmato, Maradona è prigioniero del vizio bianco della cocaina e gioca una partita sì e tre no, assenze pietosamente nascoste dietro mal di schiena, dolori muscolari, problemi intestinali e funiculì, funiculà. L’avversario nel secondo turno di quella che ancora non era la Champions League è lo Spartak Mosca, un’istituzione nella Russia che vive il crepuscolo sovietico ma non irresistibile. Invece il Napoli si complica la vita pareggiando 0-0 all’andata al San Paolo, costretto a giocarsi tutto in quello che allora si chiamava stadio Lenin, un impianto gigantesco da oltre 90mila posti. Servirebbe il miglior Napoli, servirebbe il miglior Maradona. Invece il lunedì, quando la squadra si raduna a Soccavo per poi partire per Mosca, Maradona non c’è. Vana l’attesa, poi il bus si avvia verso Capodichino senza di lui. Ma dov’è Diego? A casa sua, nella villa di via Scipione Capece, una stradina adagiata sui fianchi morbidi della collina di Posillipo. E’ chiuso in camera sua, il Pibe, stravolto dall’ennesima notte brava, strafatto di coca. Si nega, Maradona, al dg Luciano Moggi che va a casa per avere sue notizie, si rifiuta di parlare persino con Ferrara, De Napoli e Crippa, gli amici più fidati del gruppo, arrivati di corsa in taxi da Capodichino. Maradona resta a casa, il Napoli vola a Mosca senza di lui. “Anche se venisse a Mosca, non giocherebbe” sentenzia Moggi col sigaro incollato all’angolo della bocca. Non è l’ultima parola, impossibile averla con Maradona, geniale in campo e fuori. Così il giorno prima della partita, il 6, Dieguito stupisce tutti: prenota un aerotaxi da 9 posti al costo di 30 milioni di lire e raggiunge il Napoli a Mosca. “Vado lì come tifoso” dice lui partendo da Napoli, conscio che sarà un’altra bugia. A Mosca la posa è da star: alle 2 di notte lascia l’hotel che ospita il Napoli e passeggia sulla Piazza Rossa sotto lo sguardo incuriosito delle sentinelle. Poi, 45 minuti più tardi, torna in albergo, e tira l’alba tra un caffè e una risata. Il Napoli, intanto, è schiacciato tra la necessità di punire Diego mandandolo in tribuna e quella di impiegarlo per vincere. Ne nasce il solito compromesso: Maradona va in panchina ed entrerà solo nel finale. In campo, la partita è tutta spigoli, lo 0-0 resiste anche nei supplementari senza sussulti. Si va ai rigori. Il portiere dello Spartak Mosca è Stanislav Cherchesov, baffoni neri e una calzamaglia per proteggersi dal gelo. Già protagonista nella gara d’andata, ipnotizza Baroni che calcia fuori il suo penalty. Maradona, in campo dal 60’, segna, ma serve a poco: Mostovoj fissa il 5-3 e l’addio del Napoli e di Diego alla Coppa Campioni. Ed è qui che la storia di ieri si riallaccia a quella di oggi. Perché l’allenatore della Dinamo Mosca, avversaria del Napoli di Benitez negli ottavi di Europa League, è proprio ‘quello’ Stanislav Cherchesov. Che oggi, a 51 anni, ha più chili e meno capelli ma gli stessi baffi, solo un po’ più bianchi. Per il Napoli l’occasione di vendicarsi con lui e con Mosca di quell’antico torto. E sfatare il tabù, l’ennesimo, che vede gli azzurri mai vittoriosi in Russia.

Fonte : Cronache di Napoli
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